La bustina del tè di oggi, 26 aprile, tratta un tema che sto provando a rimandare da mesi.

Purtroppo non sono brava a procrastinare, soprattutto quando si tratta di argomenti che scaldano, per cui, di solito, preferisco evitare il ginepraio e attendo finché non reputo sia arrivato il momento giusto per raccontare come la penso.

E’ la globalizzazione che ci ha portato a confrontarci con il fenomeno delle migrazioni che, non possiamo più negare, interessa a fasi alterne sempre più zone sparse per il globo.

Ed è in questo contesto che la destra che è al Governo sta costruendo l’architrave di una diffusa insicurezza, delineando i contorni della crisi, inserendo la chiave di volta della paura e imponendo la difesa dei confini nazionali.

Viviamo un un momento storico particolare, in cui tutti i confini si stanno moltiplicando: sorgono sempre più alti e fitti questi segmenti di filo spinato e cemento che diventano qualcosa di diverso dai canali di passaggio per cui erano stati pensati. Ed è così che il confine si snatura e esercita pressione sulle soggettività già fragili in partenza, capaci di viverlo solo come uno luogo di stallo, sospesi e trattati in condizioni disumane fino al prossimo rimpatrio, solo quando questo sarà possibile. L’assoggettamento al confine è un processo lungo e complicato in cui gli individui cedono più o meno volontariamente la loro identità, tutta o in parte, per indossare quella del Paese ospitante, per essere stranieri in questi “altrove”, fiduciosi che questa volta valga davvero la pena perché gli è stato raccontato sino posti promettenti.

Infatti, decidere di lasciare tutto e partire non è mai una scelta semplice, e lo sanno bene coloro che investono tutto ciò che hanno per imbarcarsi o far imbarcare i propri figli in cerca di fortuna, di una vita migliore, di una vita possibile o  semplicemente accettabile e umana. Coloro che arrivano, sopravvivendo al viaggio della speranza, si imbrigliano nella maglie di un sistema iper-burocratizzato, perdono entusiasmo e speranza. La tendenza a disumanizzare lo straniero è semplice soprattutto prima ancora di averci stabilito un confronto.

In epoca contemporanea siamo passati così, dal sentire il bisogno di un potere capace di tutelare a uno che sceglie di imprigionare, imponendo una visione disinteressata e distorta degli ultimi di cui cerca di farsi solo beffa. Ed è pazzesco come, in occidente nel 2023, si possa scegliere di contribuire alla costruzione di un sistema che anziché mettere al valore le differenze, impone una cultura dominante gerarchizzata, con il solo scopo di dividere gli esseri umani in categorie di valore, dimenticando l’appello alla solidarietà.

Ed è su questo terreno di scontro che mi piacerebbe raccontarvi un lieto fine: come la sinistra riesca a distinguersi politicamente, come abbia ricostruito un terreno di confronto e restituito la giusta dignità ai migranti, ma purtroppo non è così.

Parlare di accoglienza significa ricordare di essere umani, delle vite altrui, della compressione che subiscono i diritti umani di chi fugge da guerre, fame e disastri ambientali.

Evidentemente non ne abbiamo ancora abbastanza dei camion in cui vengono trovate morte decine di persone per asfissia e caldo quando che si nascondono nei posti più impensabili pur di oltrepassare le frontiere, oppure delle morti per annegamento che il mare ci restituisce dopo i naufragi di mezzi di fortuna che promettono meraviglie. E sopportano tutto questo per finire dove mai avrebbero immaginato, lontano dagli affetti che magari per i sistemi delle quote sono stati smistati hanno altrove. La verità è che sembra semplicemente non ci interessi, fino a che, a un certo punto, osiamo perfino indignarci per le morti che avvengono a poche centinaia di metri dalla costa. 

Ed è anche così ingiusto e indelicato giustificare la loro presenza sul territorio con il fatto che in realtà all’Italia conviene, economicamente e demograficamente, avere migranti.

Inoltre, siamo ipocriti quando neghiamo la nostra responsabilità nelle loro decisioni di mettersi in viaggio, come le dirette conseguenze dello sfiancante sfruttamento che l’Imperialismo ha imposto a quelle regioni del mondo. 

Credo che il discorso ruoti un po’ intorno al fatto che se ne parla solo in termini di numeri, e questo ci fa dimenticare che dietro si dispiegano vite vere e storie di migranti, utili a rimarcare i contorni di un paese civile, attualmente sempre più sfumati dove tutto rischia di divenire eccessivamente arbitrario.

Talvolta ci scordiamo che il mondo è di chiunque lo abiti e la libertà di spostarsi appartiene a tutte e tutti, infatti l’essere umano si sposta per natura, e ha diritto a farlo ovunque ritenga di poter fare una vita migliore.

– Grazie per avermi tenuto compagnia fino a qui, a presto.