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Siccità: distopia o profezia?

di Francesco Di Donna11/11/22
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Tempo di lettura 5 minuti

Nel futuro prossimo delineato nella pellicola di Paolo Virzì, la Capitale più bella del mondo arranca, ancora una volta. Non piove da tre anni e si diffonde una nuova epidemia che miete vittime, indistintamente.
Questo “domani distopico” non è molto diverso dal nostro presente: non ci siamo ancora scrollati di dosso il trauma post - covid e ci troviamo in sala cinematografica ad angosciarci per una siccità che ci tiene incollati alle poltrone e assetati, proprio come la recente stagione estiva, la più calda che si ricordi da molto, molto tempo.
Il mix di crisi pandemica e climatica fa da arido sfondo in una Roma che viene presentata come naturale evoluzione di quella decadente narrata due lustri fa ne La Grande Bellezza di Sorrentino.
Un’altra faccia dello stesso dado.
Meno esteta, meno affascinante, drammaticamente coerente. Quasi commovente.
L’umanità fragile, prima nella psiche e poi nel fisico, che si arrabatta, in mezzo alle blatte, e che tenta di sopravvivere alle sue contraddizioni, o meglio, tenta di conviverci, in preda al sopraggiunto panico della fatalità.
L’emergenza monopolizza i canali d’informazione ma questo non contribuisce a dare rassicurazioni e il malumore sociale trova scarico in manifestazioni di piazza rabbiose e confuse. La politica? Assente.

Siccità ovunque. Fuori e dentro.
La scenografia ritoccata ad arte, con tanto di Tevere prosciugato, è un continuum dell’aridità che permea (o contagia) alcuni personaggi, quasi tutti a dir la verità, che si intrecciano durante lo svolgimento.
L’ex attore di teatro, oggi influencer delirante e padre insufficiente, interpretato da un abilissimo Tommaso Ragno (già in auge con Nostalgia), che spreca il suo tempo in dirette streaming improbabili dal salotto di casa sua, o dalla cucina, o peggio dal cesso, dispensando consigli di sopravvivenza, mentre sua moglie, Elena Lietti dall’animo dolceamaro, segretamente innamorata di un vecchio compagno di liceo azzarda la via del sexting per rianimarsi e resta sullo sfondo di una vita di coppia consumata, sfiancata, scaduta.
In mezzo, un figlio lasciato a se stesso e al gruppo dei pari, che oggi più che mai incarna il collettivo deviante, a tratti inconsapevole – quest’ultimo tratto marcato almeno nel migliore amico, uno stupido senza arte né parte: ma grave, gravissimo, il contesto cui si avvicinano entrambi sul finale (no spoiler!), aggravato da movente inesistente.

Poi sale in cattedra la Dottoressa, Claudia Pandolfi, protagonista reale del quotidiano, stressata e pressata dalla mole di lavoro nell’emergenza sanitaria, con un privato altrettanto pesante, malato terminale: separata prima e ora compagna di un avvocato di successo (Vinicio Marconi) di cui non sopporta neanche la presenza.
L’ex marito è un ex autista di auto blu, un azzeccato Valerio Mastandrea abbandonato dalla lucidità, oltre che in preda alle allucinazioni da passato tenero e ormai perduto, incatenato in modo alcolemico e disilluso ai suoi fallimenti.
Per entrambi, suona una melodia malinconica sul finale.
Suona il pianoforte, e anche molto bene, la loro figlia, teenager dal carattere forte e le idee chiare, mostrate dall’amore appena fiorito per un immigrato dalla saggezza semplice, bucolica, di un mondo lontano fatto di stenti e necessità. Quelle che il mondo occidentale ha dimenticato, salvo ricordarsene nei salotti televisivi, dove ripulire velocemente la coscienza collettiva. O la propria.
I secondi di notorietà concessi in tv al giovanissimo ragazzo proveniente dal Corno d’Africa (in cui la situazione legata alla siccità è realmente drastica) sono però negati al decaduto, qui miserabile e mirabile, Max Tortora, ex commerciante di camicie di classe ormai sul lastrico, che vive in auto con il suo cane, barcollante sul dirupo della disgrazia e dalla rabbia cieca, che rischia di trovare sfogo armato: è la follia della società contemporanea che aizza gli ultimi contro gli ultimi.
In fondo, basta la conoscenza, che non a caso è contrario di ignoranza, per risolvere gli attriti.

Altra trama che scorre lungo tutto il film è quella di un magistrale Silvio Orlando, detenuto, che si trova a evadere per caso e contro voglia, atterrando in una realtà ormai sconosciuta e in cui, camminando – camminando, si mette alla ricerca della figlia e di una redenzione misericordiosa. Sarà per questo che, lungo il suo calvario, sbatte contro l’immagine biblica di una Madonna post-moderna, incinta, su un asinello guidato dal compagno africano, nel deserto romano.
La figlia di questo innocuo e anziano galeotto (Sara Serraiocco) è diventata instancabile infermiera e si scoprirà legata in modo indissolubile al destino paterno, e ora è incinta. Il suo fidanzato (Gabriel Montesi) è un ragazzone molosso, guardia del corpo di un’altra figlia, interpretata da Emanuela Fanelli, in questo caso di un padre molto diverso: un imprenditore ultra capitalista che sfrutta le riserve d’acqua di cui dispone per lucrare, riempiendo le sue piscine termali per un èlite di fortunati, mentre fuori si muore di sete.
Metafora (mica tanto metafora) della società contemporanea pienamente riuscita.
La Fanelli prova a riabilitare la figura del padre e al contempo aiutare la collettività, salvando anche se stessa da traumi irrisolti, con una strategia impronosticabile, ma si dovrà arrendere al destino assurdo.

Infine, notando il sincronismo di sguardo e di regia tra Virzì e Adam McKay, se oltreoceano troviamo DiCaprio in Don’t look up, anche qui abbiamo lo scienziato (Diego Ribon), il tecnico, colui che possiede la conoscenza di ciò che sta accadendo, e diventa mito e protagonista televisivo.
Distante dai canoni estetici e dialettici della maggioranza, diventa volto amico e lentamente, ma con costanza, si perde nel vortice della fama appena scoperta; si perde nell’agio dell’appartenenza su invito all’ èlite di fortunati; si perde nel labirinto della bellezza di Monica Bellucci (e che gli vuoi dire…) nei panni di una sua pari, attrice di successo dal fascino infinito, che vola alto, ben lontana dai problemi della gente comune.

La struttura ad anello del film si apre con la musica classica e le prove di un concerto, che altro non sono che prove di normalità e di difesa culturale in un contesto di assurdità, che pure sarà motore di accadimenti molto vicini alla nostra memoria pandemica, e si chiude con un richiamo forte e sentito a un dolore da elaborare.
Infine, la colonna sonora di Mina “Mi sei scoppiato dentro al cuore”, Regina Mida per ogni cosa: dove la metti, tutt’intorno si trasforma in oro, a coccolare noi spettatori nei momenti finali.
Al netto delle variabili criminogene che ogni tanto sgusciano fuori, può nascere un pensiero – forse un sentimento – di solidarietà nei confronti di tutto il capitale umano qui proposto, che un po’ ci somiglia, un po’ ci accomuna, un po’ ci intenerisce.
Un po’ ci ricorda le nostre contraddizioni.
Quelle cui cerchiamo di sopravvivere.
O almeno, tentiamo di conviverci.
Chi disattento, chi amante, chi superficiale, chi influencer, chi scienziato, chi ignorante, chi disilluso, chi malato, chi perduto, chi ritrovato, chi piegato, chi spezzato, chi resuscitato.
Chi arido di fabbrica, chi arido per noia, chi arido per scelta, chi arido scontento, chi arido per sfinimento.

Virzì, coadiuvato nella sceneggiatura da Francesca Archibugi (che contemporaneamente al cinema ci regala Il Colibrì), Francesco Piccolo e Paolo Giordano, gioca bene le sue carte nel mondo di mezzo tra distopia e profezia: nel mix di crisi pandemica e climatica, ci siamo noi.
Che cosa accadrà nel futuro prossimo? Dipenderà anche dalle nostre azioni.
Abbiamo sempre delle responsabilità, seppur inseriti in un fato che spesso – non sempre, ma spesso – va oltre le nostre possibilità. Il presente non è incoraggiante: la pandemia avrebbe potuto risvegliare nuova linfa sociale; la crisi climatica avrebbe potuto riattivare nuova buona politica; l'umanità avrebbe dovuto stringersi empaticamente a sé; tutto ciò non è accaduto.
Questa pellicola restituisce una buona dose di compassione, acqua che ci culla nella placenta della vita.
Speriamo che, dopo tutta questa siccità, rinasca qualcosa di buono!

Credits: Pixabay

Scritto da

Francesco Di Donna

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