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Canzone del Febbraio

di Andrea Ardito13/03/24
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Tempo di lettura 5 minuti
Lo sguardo

di un ragazzo un verde prato,

immenso cielo di una giovane,

colma del suo stesso azzurro.


Il futuro dentro gli occhi,

fremiti, sussurri, alti echi

nella voce che non tace.

Fiamma che riarde dalla brace.


Una lacrima rossa

Riga i volti

Riga il legno, che li squarcia.

Riga nera di violenza


che prova, ma non sa

come un muro non possa

soffocare, di un’onda la costanza.

Disperata speranza.

C’è qualcosa di più autorevole di una voce che non ha paura di levarsi per farsi sentire anche quando tutto attorno a lei vorrebbe soffocarla? Qualcosa di più invincibile di una testa che non si china nemmeno sotto la violenza? Senza giungere all’estremo c’è, in ogni caso, qualcosa di potente quanto un gruppo di giovani che sanno esprimere loro stessi, le loro idee e i loro sogni in un mondo troppo spesso ottuso che non fatica ad etichettarli come pigri, insignificanti e vuoti?

Niente paura, la mia non è un’interrogazione, sebbene abbia rivolto quesiti simili ai miei studenti e in primis a me stesso. Non si tratta poi, certamente, di una questione nata ieri, parliamo di una discussione fattasi accesa da decenni, soprattutto da quando sul finire degli anni Sessanta, negli Stati Uniti prima e appena dopo qui in Europa, è scoppiata la rivoluzione sociale e di costume che proprio dai giovani ha preso le mosse; e sì, è difficile vedere nella nostra quotidianità le radici di un nuovo ‘68, però è fuori di dubbio che gli ultimi anni hanno sentito – e più volte – le parole di tanti e tante adolescenti tornare ad ergersi per farsi sentire, almeno quasi se non proprio, come allora.

C’è un’altra domanda che spesso si sente, e che in un certo senso tende a fare da sfondo a tutta la questione, come se fosse quasi la base di pensiero comune a quanti nelle nuove generazioni e nella loro presa di coscienza vedono solo aspetti negativi: «Con che diritto lo fanno?». Personalmente credo, e da qui desidero partire con la mia riflessione, che ragazzi e ragazze abbiano il diritto di manifestare GIÀ SOLO per il fatto di essere tali. Perché, con buona pace di tutti i dinosauri ai quali una poltrona e un titolo fanno credere che sia nelle loro, il Mondo è in quelle, di mani. E, ancor più, in quegli occhi. Perché sono loro che sanno “vedere oltre” l’oggi e che, di fatto, lo vedranno. Niente eccessi sulla scia del Futurismo, che del passato voleva far macerie per ricostruire una società e persino una lingua nuove, credo tuttavia che il modo più efficace per giungere ad un effettivo progresso – sociale, culturale, economico, artistico e chi più ne ha più ne metta – sia effettivamente l’anticonformismo. Ed è sempre stato così! Sin dal Rinascimento, con la sua generazione di giovani pittori, scultori e architetti e con una rampante borghesia che in Italia ha dato vita all’idea stessa di banca e di capitale economico mentre in Inghilterra ha gettato le basi di quella che poi sarebbe stata la prima rivoluzione industriale dei tempi moderni. Benvenga dunque la non conformità passiva.

Come rispondono gli “adulti” a tutto ciò? Be’, generalizzare non è mai la soluzione giusta, perciò prendo sin da subito le distanze da tale grossolano errore; certo è però che troppo spesso non viene percorsa la via migliore, cioè quella che prevederebbe di guidare questa acquisizione di consapevolezza, di supportare questa volontà di autodeterminazione e di fornire gli strumenti necessari a formarsi prima come individui liberi e pensanti e poi come parte di una comunità sociale e civile. Le date del 13 e del 23 di febbraio dovrebbero essere il giusto campanello d’allarme, l’eccezione, l’eccesso. Speriamo che la violenza non diventi, invece, la risposta abituale. Ah, e sia chiaro, quando parlo di “giovani” non intendo certo solamente sedicenni, mi riferisco a coloro che non sono vecchi – già, non anziani, proprio vecchi – dentro al cuore e dentro all’anima. Perché se un cinquantunenne può limitarsi a dire che si devono tenere giù le mani dalla polizia (per carità, concordo con l’evitare processi sommari) e una quarantasettenne può evidenziare come solo il 3% delle ultime manifestazioni abbiano registrato episodi di violenza (senza sottolineare con altrettanta enfasi come si tratti del “3%” di troppo…), allo stesso modo due signori di ottantadue e ottant’anni possono rispettivamente ricordare come i manganelli con i ragazzi siano un fallimento e commuoversi sino a piangere nel dire che quelle "Non sono cose da vedere, sono cose che non possono succedere.”

Certo, non è sempre così. Certo, talvolta studentesse e studenti riescono a farsi sentire, riescono a far capire anche a questo nostro mondo troppo spesso ottuso che non fatica ad etichettarli come pigri, insignificanti e vuoti che loro vedono e sentono ciò che non va, ciò che non funziona. Che sanno cosa desiderano e sognano, “così belli a gridare nelle piazze perché stanno uccidendo il pensiero” (sempre parole del suddetto ottantenne, un certo Roberto). Penso a tante manifestazioni legate a quegli eventi, ad esempio nella stessa Pisa pochi giorni fa, oppure ad altre aventi a che fare con la condizione della scuola, fra le ultime quella che ha visto protagonista la città di Novara e alunni e alunne delle sue scuole. Ma dove sta la differenza? Nelle labbra di chi parla o nelle orecchie di chi ascolta? Nei piedi di chi sfila in corteo o nelle mani di chi può scegliere se brandire un’arma oppure aiutare a srotolare uno striscione? L’ho già lasciato intendere ma mi ripeto, perché va – penso – ribadito e ben compreso: camminare insieme, ascoltando e ascoltandosi, per fondere le generazioni. I giovani hanno dalla loro i sogni, la forza incrollabile di quei sogni, e gli adulti il dovere di preservarli senza soffocarli; di aiutare i sognatori a crescere, guidandoli, non indottrinandoli dietro i loro schemi. Roberto (già, ancora lui) ad uno di quegli adolescenti, senza nome perché poteva essere tutti, cantava ciò che ciascuno di noi dovrebbe urlare a squarciagola ogni volta che, indignato e rabbioso, vede una lacrima di sangue su un manganello: “Ti diranno parole rosse come il sangue nere come la notte ma non è vero, ragazzo, che la ragione sta sempre col più forte. Io conosco poeti che spostano i fiumi con il pensiero e naviganti infiniti che sanno parlare con il cielo”.

Perché, dinosauri che pensano di avere il mondo in mano, ha proprio ragione il giornalista Massimo Gramellini (un giovane di 63 anni). Non si può etichettarli con noncuranza come pigri, insignificanti e vuoti e poi “appena si alzano dal divano, si staccano dal cellulare ed escono di casa per andare in piazza, con i loro corpi a far sentire la loro voce su una questione che, giusta o sbagliata che sia, è lo Stato a sdraiarli per terra a colpi di manganello”.

Scritto da

Andrea Ardito

Certamente insegnante, e con passione.
Poi molte altre cose... potenzialmente tutte, perché forse sognare è quella che mi riesce meglio.

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