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Didone: quando l'Amor si trasforma in Furor

di Giulia Pagani11/03/24
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Tempo di lettura 3 minuti

Didone è uno dei personaggi dell'Eneide più noti a livello scolastico, complice la storia d’amore tragica che la lega ad Enea. La regina fenicia, figlia del re di Tiro, dopo l’uccisione di suo marito Sicheo, fugge in Africa ed acquista dal principe Iarba un ampio terreno, su cui fonda Cartagine. Tutto sembra procedere per il meglio, fino all’arrivo di Enea. Il libro III risulta interamente dedicato al racconto che l’eroe fa delle proprie peregrinazioni attraverso il Mediterraneo, avventure che lasciano la donna, ormai colpita da un incantesimo di Cupido, totalmente sbalordita: è per questo motivo che il libro IV si apre in maniera molto forte con l’utilizzo di una avversativa, che ci pone immediatamente davanti agli occhi il punto di vista della sovrana.

At regina gravi iamdudum saucia cura
vulnus alit venis et caeco carpitur igni.
multa viri virtus animo multusque recursat
gentis honos; haerent infixi pectore vultus
verbaque nec placidam membris dat cura quietem.

Potremmo tradurre questi versi così: “Ma la regina, già da tempo ferita da un grave affanno, nutre nelle vene la ferità ed è presa da un cieco fuoco. Le ritornano alla mente le molte virtù dell’uomo ed il grande onore della stirpe. Rimangono fissi nel petto il volto e le parole, nè l’affanno concede alle membra tranquillo riposo”. Finito il racconto di Enea tutti sono rincasati per riposare, ma non la nostra regina: ella continua a vedere nella sua mente le immagini del racconto dell’eroe ed è divorata dalla passione. La sua è una notte insonne, piena di dubbi, soprattutto perchè risulta legata al giuramento di fedeltà fatto alle ceneri del marito defunto, a cui ha giurato eterno amore. Addirittura, l’espressione che Virgilio mette in bocca alla donna, “Adgnosco veteris vestigia flammae”riconosco i segni dell’antica fiamma, sarà utilizzato da Dante nel canto XXX del Paradiso, quando egli rivede Beatrice in veste di beata: un indizio sintomatico della forza messa dal nostro autore per descriverci il propagarsi di questo enorme sentimento, tanto da rendere le parole della donna ancora vive nei secoli successivi.

L’unico sollievo che ella trova è la confessione alla sorella Anna, che definisce la regina “O luce magis dilecta sorori”, a testimoniarci il profondo affetto che le lega, tanto da renderla “più cara della luce”. Ella la incoraggia ad assecondare i propri sentimenti, ad accogliere questo ospite straordinario.

La donna, legittimata quasi dalle parole della sorella, inizia condividere con Enea molto tempo, tanto da trascurare in questo modo i suoi impegni di regina. Intanto, nell’Olimpo, si consuma una grande “battaglia” tra Giunone e Venere, mosse da interessi antitetici che, come sempre avviene in questo genere di poemi, si riverberano sulla pelle dei nostri protagonisti. La moglie di Giove infatti ben sa che la stirpe di Enea distruggerà Cartagine, e vuole in tutti i modi scongiurare questa eventualità. Tuttavia Giove, alla vista di quest’amore, manda Mercurio per rimproverare Enea, per ricordargli qual è il suo destino: giungere in Italia e fondare una nuova patria. Ed è qui che le cose si complicano ulteriormente. L’eroe è molto colpito da questi rimproveri, quasi offeso ma si trova davanti ad un grande dilemma: come comunicare alla donna, ormai innamorata persa, la sua partenza? Decide di rimandare il chiarimento: ma la Fama, che nell’Eneide è un vero e proprio personaggio, fa arrivare alle orecchie della donna le sue intenzioni, ferendola nel profondo. Il loro confronto, è ormai impossibile da rimandare. Didone, furiosa, rinfaccia all’uomo di violare il loro vincolo matrimoniale (che, c’è da dire, era stato a senso unico), si sente tradita, e Virgilio indugia molto per farci scorgere, attraverso un grande approfondimento psicologico, quanto i due personaggi in fondo si siano sempre fraintesi. A nulla servono le preghiere, le suppliche, Enea dovrà ripartire, e ci specifica un bel “Italiam non sponte sequor”non seguo l’Italia per mia volontà: ci illustra in questo modo l’inesorabilità di un fato che non solo l’ha privato della sua vera patria, Troia, da cui mai lui si sarebbe separato, ma che lo costringe anche a peregrinazioni per un destino più grande di lui. Prepara poi le navi con i compagni, ed è pronto a salpare. La regina osserva dall’alto i preparativi, e prende la sua decisione: vuole morire. Fa preparare all’ignara sorella un rogo, su cui dice di voler bruciare tutte le cose lasciate dall’amante che l’ha abbandonata. Quello che non dice è che, tra le “cose” abbandonate dall’uomo, c’è anche lei: la sua fine è lenta e dolorosa, perché la donna non era destinata a morire, e serve l'intervento di Iride, inviata da Giunone, per sciogliere il suo legame con il mondo mortale.

Quando Enea e la regina si rincontreranno nell’Ade (libro VI), Didone non gli riserverà nemmeno uno sguardo.


Scritto da

Giulia Pagani

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