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Isole e continenti

di Giulia Pagani18/04/24
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Tempo di lettura 4 minuti

“Maestra, cosa vuol dire la scritta che hai sul polso?”

Siamo a mensa, mi sono appena seduta dopo aver girato per i vari tavoli distribuendo acqua, pane e risolvendo le sporadiche diatribe che si consumano tra i miei alunni. Alzo la testa, e con un gesto quasi assente mi osservo il polso, quasi come se non fosse mio. La domanda mi ha colta alla sprovvista, e tentenno cercando di mettere assieme una risposta adatta ad una bambina di appena sei anni. 

“È la parola vittoria in greco” rispondo, consapevole che non sarà sufficiente a placare la sua curiosità. Ed infatti ribatte subito: “E perchè ce l’hai?”

I bambini possiedono questa straordinaria capacità di fare domande e, soprattutto, di esigere risposte che possano comprendere: mi stupirà sempre il modo in cui perforano il silenzio puntando proprio dove non ci si aspetterebbe mai. Ed io, in questo caso, non so cosa rispondere: un po’ perché appunto non ero pronta alla domanda, un po’ perché rispondere in maniera adeguata mi costringerebbe a scavare troppo nella mia vita, a semplificare una risposta che sarebbe troppo complessa. Cerco sempre di rispondere, anche alle domande che non mi piacciono, ma questa è un po' speciale per me.

Come glielo spiego, ad una bambina di sei anni, che nel periodo più buio della mia vita avevo paura mi rubassero i sogni? Quei sogni che avevo costruito con tanto lavoro in palestra, da quando ero appena poco più grande di lei. Come glielo spiego che poi, da più grande, me li sono ripresi tutti? 

Forse dovrei partire raccontandole che, nello sport, la linea che separa i vincitori ed i vinti è molto sottile, e che tutti lavorano per finire dalla parte giusta della storia. Spesso, anche se non sempre, non rimane gloria per chi perde e tutto si riduce a pochi attimi, pochi istanti in cui bisogna fare i conti con se stessi. È una sensazione magica, il senso di tanto lavoro e fatica.

Mi sono tatuata la parola Νίκη nell’aprile del 2019, circa un mese prima della mia ultima Finale nazionale e del mio ultimo titolo regionale, che mi ha poi catapultata nel Basket come giocatrice  senior. Ci sono finita tante volte dal “lato giusto” della linea, ma quella ha un sapore speciale, proprio forse perchè rappresenta il lavoro enorme che c’è stato dietro. Rappresenta tutti quei sogni che, per un attimo, avevo creduto perduti. Rappresenta il ricordo costante della mia famiglia, che ha sempre lavorato con me, e mi ricorda la strada che devo ancora percorrere. 

Avere sogni, e lavorare per realizzarli, è forse la cosa più importante che mi ha insegnato la Pallacanestro. Ed è quello che cerco di trasmettere ogni giorno ai bambini con cui entro in contatto, che sia in palestra o dietro un banco di scuola. Perchè sono quelli ad essere il vero motore che ci spinge a migliorarci, che ci spinge ad impegnarci per un domani migliore. 

Essere “allenati ad avere sogni” è forse la caratteristica che più di altre accomuna tutti i vincenti: loro li vedono, vedono cose che per le persone “normali” sono lontane, le mettono nel mirino, ed infine cercano tutte le vie per raggiungerle, con il lavoro quotidiano, con la fatica. Non sono i sogni sterili, quelli che si fanno di notte e si tengono chiusi nel cassetto, ma sono quelli di coloro che poi lavorano duramente, più degli altri, per provare a raggiungerli. Sognare rimane probabilmente la cosa più rischiosa ed appagante che caratterizza l’essere umano, un gesto di sfida ad un mondo che ormai ci appiattisce, che ci determina. 

Quella stagione, come dissi già subito dopo la vittoria, mi ha insegnato che “nessun uomo è un’isola, completo in se stesso” ma anzi che “ogni uomo è un pezzo di continente, una parte del tutto” (come enuncia John Donne, in una sua poesia). E questa è forse una delle cose più grandi che mi ha mostrato la Pallacanestro. In un mondo che punta il dito sulla prestazione del singolo, che lo esalta, rendersi conto di essere solo una parte del tutto ci aiuta a comprendere quanto solo con sogni comuni, lavorando insieme, si può puntare in alto. Cerco di tenerlo a mente ogni volta che mi devo confrontare con un bambino, perchè i loro sogni sono grandi, ed io devo cercare di esserlo altrettanto per loro, perchè avere qualcuno che ti indichi la strada è fondamentale, nello Sport come nella vita.

Ma il tempo ticchetta veloce, e la mia piccola interlocutrice esige una risposta, tra una forchettata di pasta e l’altra.

“Allora Maestra?” mi chiede impaziente.

“Te lo spiegherò quando sarai un pochino più grande”. So che non è la risposta che vorrebbe, non la vorrei nemmeno io se fossi al suo posto. In realtà forse temeva che non ce l’avessi, una risposta, e soddisfatta mi chiede: “Quindi quando sarò in quinta?”

Sorriso, l’ennesima sorpresa che non mi aspettavo. “Si, quando sarai in quinta”. 

E fino ad allora, invece di rispondere alla sua domanda, glielo mostrerò con l’esempio. 

Scritto da

Giulia Pagani

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