In questi giorni mi sono avvicinata nuovamente alla lettura dei Promessi Sposi, per la preparazione di un esame universitario: ne avevo già avuto occasione al secondo anno di liceo, quando la mia professoressa, fortunatamente, ha ritenuto fondamentale utilizzare ore di lezione per dedicarle alla lettura di questo grande classico. Sono stata fortunata, perchè mi sono avvicinata a questo Romanzo leggendolo in maniera integrale, e non attraverso i pochi stralci riportati sulle antologie scolastiche. Ancora oggi, a distanza di anni da quelle ore sui banchi di scuola, ricordo con il sorriso il tempo passato ad intepretare i vari personaggi ed a capirne il signficato.
Il 22 maggio 1873 Alessandro Manzoni morì a Milano, a causa di un attacco di meningite: quest’anno ricorre il centocinquantesimo anniversario di questo fatto, ed in tutta Italia fioriscono iniziative volte alle celebrazioni dell’ ”Anno manzoniano”.
In un saggio di Pierantonio Frare, La via stretta. Giustizia, vendetta e perdono nei «Promessi sposi», è presente un’esame diverso ed a mio avviso molto interessante delle vicende narrate nel Romanzo. Nel testo si enuncia come tutta la narrazione si apra e si chiuda nel segno della Giustizia: la vicenda infatti prende avvio proprio dal consumarsi di un’ingiustizia, ovvero la minaccia a Don Abbondio perchè non adempia al proprio dovere di celebrare le nozze tra Renzo e Lucia. Questo fatto, oltre che aprire il testo trasportando il lettore direttamente nel cuore di quelli che saranno gli avvenimenti futuri, costituisce ciò che scatena la “catena del male” destinata a portare i nostri protagonisti attraverso mille peripezie. Il termine Giustizia compare fin dal Capitolo III, in due situazioni differenti:
Renzo, subito dopo aver strappato al curato il nome del prepotente che sta perseguitando ingiustamente lui e la futura moglie, si immerge in quello che viene comunemente chiamato “sogno di sangue”: immagina di uccidere il suo rivale, atto che lo renderebbe del tutto simile a lui. È la visione di Lucia, come ci sottolinea Frare, a far ravvedere il giovane, inorridito dall’aver pensato ad un’azione che, se compiuta, lo renderebbe del tutto simile al suo aguzzino. Si può in questo senso notare come la prima conversione che attua la donna, non sia quella famosissima dell’Innominato, quanto piuttosto quella del suo futuro marito, che spesso nel corso del testo verrà frenato dal compiere atti poco leciti dal pensiero dell’amata. L’autore ci sottolinea come si tratti di uno snodo molto importante: se Renzo infatti uccidesse Don Rodrigo, passerebbe dal ruolo di colui che cerca giustizia a colui che compie un’ingiustizia. Egli infatti sta operando nella sua mente la trasformazione del termine Giustizia in vendetta. In questo senso, alla fine del capitolo III, in relazione alla battuta di Renzo che si è sopra riportata, il narratore si era sentito in dovere di dire:
[…] E lo sposo se n’andò, col cuore in tempesta, ripetendo sempre quelle strane aprole: “a questo mondo c’è giustizia finalmente!” Tant’è che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica […].
Le parole di Renzo sono “strane” in quanto operano la perversione del significato di giustizia: essa costituisce il primo passo verso la perversione etica.
Per tutto il Romanzo, Giustizia e vendetta sono in conflitto, in collisione, nella mente del giovane, che rivolge a Don Rodrigo pensieri violenti e si ravvede, attraverso il pensiero salvifico di Lucia.
Tuttavia l’itinerario di Renzo giunge ad una svolta importante ed imprevista nel capitolo XXXV: egli sta cercando Lucia al Lazzaretto di Milano, ed inaspettatamente, incontra Padre Cristoforo. Interessante in questo senso ricordare questo scambio di battute tra i due:
[…] Ma Renzo, a cui la rabbia riaccesa dall’idea di quel dubbio aveva fatto perdere il lume degli occhi, ripetè e seguitò: “se non la trovo, vedrò di trovare qualchedun’altro. O in Milano, o nel suo scellerato palazzo, o in capo al mondo, o a casa del diavolo, lo troverò quel furfante che ci ha separati; quel birbone che, se non fosse stato lui, Lucia sarebbe mia, da venti mesi; e se eravamo destinati a morire, almeno saremmo morti insieme. Se c’è ancora colui, lo troverò...”
“Renzo!” disse il frate, afferrandolo per un braccio, e guardandolo ancor più severamente.
“E se lo trovo,” continuò Renzo, cieco affatto dalla collera, “se la peste non ha già fatto giustizia... Non è più il tempo che un poltrone, co’ suoi bravi d’intorno, possa metter la gente alla disperazione, e ridersene: è venuto un tempo che gli uomini s’incontrino a viso a viso: e... la farò io la giustizia!”
“Sciagurato!” gridò il padre Cristoforo, con una voce che aveva ripresa tutta l’antica pienezza e sonorità: - “sciagurato!” e la sua testa cadente sul petto s’era sollevata; le gote si colorivano dell’antica vita; e il fuoco degli occhi aveva un non so che di terribile. “Guarda, sciagurato!” E mentre con una mano stringeva e scoteva forte il braccio di Renzo, girava l’altra davanti a sè, accennando quanto più poteva della dolorosa scena all’intorno. “Guarda chi è Colui che gastiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia! Va, sciagurato, vattene! Io, speravo... sì, ho sperato che, prima della mia morte, Dio m’avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di vederla, e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera là verso quella fossa dov’io sarò. Va, tu m’hai levata la mia speranza. Dio non l’ha lasciata in terra per te; e tu, certo, non hai l’ardire di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei, perchè lei è una di quell’anime a cui son riservate le consolazioni eterne. Va! non ho più tempo di darti retta.” […]
Renzo, nonostante le mille peripezie che gli sono successe, nonostante l’evolversi della sua vicenda, è ancora fermo al Capitolo II: nonostante tutto, egli confonde Giustizia e vendetta. Spetta a Padre Cristoforo il compito di far ravvedere il giovane, attraverso una sonora “tirata di orecchie” che lo riporterà, in maniera definitiva, sulla retta via, abbandonando i suoi propositi violenti. Per comprendere perchè il frate abbia così tanto a cuore la sua vicenda, occorrerebbe fare un salto al capitolo IV, dove è presentata la storia di Lodovico e del motivo per il quale ha scelto di prendere i voti. Egli si è trovato, proprio come vorrebbe fare Renzo, ad usare la violenza per far vincere la Giustizia. Frare sottolinea come, nell’ambito del Romanzo, ci sia un parallelismo tra le due figure, in quanto il religioso ha compiuto ciò che il ragazzo vorrebbe fare. Questo è quello che per tutta la narrazione egli chiama Giustizia, ma Padre Cristoforo sa bene che questa è vendetta, e non giustizia. Non solo, il frate si trova ad essere anche l’ “uomo del perdono”, in quanto è stato perdonato da colui che ha ucciso, ha chiesto perdono alla vedova del servitore per cui ha ucciso, e successivamente, si è prostrato a chiederlo anche alla famiglia del suo antagonista. Si noti in questo senso come Renzo, dopo la requisitoria di padre Cristoforo, non solo abbandoni i suoi progetti di omicidio del rivale, ma anche lo perdoni, e lo faccia prima di vedere in che terribile condizione si trova.
È solo a questo punto che l’itinerario di Renzo in cerca di Giustizia si conclude: da questo momento in poi, la vicenda di Renzo, ed in generale tutta la narrazione, precipiterà verso la conclusione, che lo porterà a ritrovare Lucia e successivamente a sposarla.
Frare sottolinea come il narratore, Manzoni, ci dica che la Giustizia c’è a questo mondo, ma che bisogna stare attenti a non confonderla con la vendetta, e che la realizzazione della Giustizia passa attraverso il perdono: questo non significa, nella sua ottica, rinunciare ai propri diritti, quanto rinunciare ad affermarli con forza e violenza.
Insomma, per quanti anni ci separino da questa vicenda, essa a mio avviso continua a parlarci, a raccontarci i valori di due ragazzi, due sposi, che si sono trovati a dover fermare loro malgrado una “catena del male” , non voluta ed immeritata: nella folla anonima del Romanzo, Manzoni ha collocato ciascuno di noi, mettendoci nella condizione di scegliere chi vogliamo essere in questa vicenda.
credits: unsplash
Bibliografia: Pierantonio Frare, La via stretta. Giustizia, vendetta e perdono nei «Promessi sposi», in Giustizia e letteratura, a cura di Gabrio Forti, Claudia Mazzucato, Arianna Visconti, Milano, Vita e Pensiero, 2014, vol. II, pp. 38-54.