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Pag. Tra Novalja e Zrce Beach

di Francesco Di Donna07/06/23
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Tempo di lettura 4 minuti

Ogni città ha le sue contraddizioni. Ha le sue facce. Ha le sue caratteristiche.
Ferme e mutevoli al tempo stesso.
Figurarsi un’isola, con la brezza marina che porta sempre nuovi pensieri e nuove curiosità.
Così sorge Pag, vincente tra mille appellativi che si sono avvicendati per dare nome a quest’isola prima illirica, poi romana, bizantina, veneta, italiana, iugoslava e oggi croata.
Un’isola mediterranea, forgiata da molte culture e in cui oggi prevale chiaramente quella balcanica.

La lingua parlata è un crocevia di dialetti, in cui lo sloveno, l’albanese e il bosniaco sono mixati al croato, formando il cosiddetto “ciacavo”, che si ritrova in tutto l’arcipelago liburnico.
Pag sboccia dalla piattaforma dei Balcani come un fiore, il cui stelo è una striscia di terra su cui una strada è costantemente trafficata da auto e taxi 9 posti zeppi di turisti, linfa vitale dell’industria del divertimento isolana.
Uno dei percorsi più consumati, andata e ritorno, che caratterizza molte albe dei mesi estivi, è quello che porta dal centro di Novalja alla spiaggia di Zrce Beach, nella zona settentrionale dell’isola.
Molte notti e poco giorno.

Pag, nella sua versione Zrce Beach, diventa acronimo di “Perdizione Automatica Garantita”.
Dopo molte curve a strapiombo sul mare e una geografia aspra che ospita qualche fabbricato qua e là, si scende verso una folta vegetazione che porta alla famosa spiaggia, destinazione serale, o meglio notturna, di migliaia di ragazzi.
Il panorama è sicuramente mozzafiato: ogni pista ha vista sull’acqua nera dell’Adriatico, illuminata solo dalle luci dei locali. Ma non c’è tempo per apprezzare il litorale.
La musica che proviene da sette discoteche diverse riempie subito la testa e inizia a condizionare i movimenti del corpo. Ci si addentra poi tra la folla, scegliendo i lidi con il dj set che meglio ispira.
Sulle piste da ballo, corrono le ore, tra volti che raccontano mille vite diverse da posti lontani, accomunati dalla sola voglia di dedicarsi al divertimento.

Si perdono molte cose, in questa variante.
Se il turista va, lo mette in conto. Forse va per perdere qualcosa. O per perdersi, anche un attimo.
Può perdere la testa, tra ritmi alcolici e corpi febbricitanti. E tra ritmi febbricitanti e corpi alcolici.
Può perdere la vista, nei tratti bui delle luci stroboscopiche.
Può perdere il sonno, nell’esaltazione generale.
Può perdere tempo.
Può perdere i sensi, il senso, il tatto.
Perdere un ricordo, uno sguardo.
Perdere il controllo.
Perdere un’occasione.
Perdere l’orientamento, il momento, la monotonia.
Può perdere la voglia. Perdere l’imbarazzo. Perdere le inibizioni.

Sicuramente le avevano perse – molti secoli prima – i due corpi che si sono consumati alle prime luci dell’alba di un agosto bollente, sulla spiaggia di sassi. Il che può forse sembrare romantico, in un altro racconto a tinte soft, non fosse per le luci degli smartphone che li riprendevano e si confondevano con le luci dell’alba, già troppo alba, e i rumori molesti, e l’ambizione da film porno che trasudava dagli atteggiamenti, sotto gli applausi di passeggeri poco distratti.

Tralasciando quest’ultima nota, e altri dettagli, qualcosa si perde. Difficilmente si vince.
Alcune cose devono essere perdute, altre ritrovate.
Subito dopo, quando la musica finisce e ci si riappropria dei “sensi”.
Osservare il sole rosso che sorge, scavalcando i corpi sui sassi, dietro una geografia di cui si conosce a mala pena la posizione su una cartina, è un po’ come ritrovare qualcosa.
Un giorno nuovo. E nuovi interrogativi. Sintesi perfetta tra esperienza fisica e mentale.

Pag, nella sua versione Novalja, diventa acronimo di “Perla Anonima e Grezza”.
Questo piccolo centro storico mantiene intatte poche vie secondarie, abitate dalla gente del posto, e mostra il suo lato più commerciale sulla restante parte, primo motore turistico.
È circondato da un enorme complesso residenziale, ancora in divenire.
Sono molte le costruzioni iniziate che saranno terminate per la prossima stagione.
Una zona che si adatta alle regole del mercato, mantenendo nascoste le sue tradizioni.
Come alcune case tenute in ombra da folta vegetazione privata in cui si intravedono anziani che lavorano a mano, pasta o seta, sorseggiando vino bianco prodotto da un tipo di uva locale, chiamata gegic.

E così, alla sera, mentre i turisti cercano un posto nei locali affollati – in cui si tenta di emulare con scarso successo la cucina italiana – e passeggiano sul lungo mare, rischiarato da una tonda luna e mille stelle, sempre ben visibili grazie alle sferzate di bora che puliscono il cielo da nuvole tempestose che ogni tanto si presentano minacciose, una starijih dama si asciuga dal suo ultimo bagno, con il classico costume intero blu notte, e i capelli un po’ tinti e un po’ no, la pelle grezza scavata dagli anni e dal sole e i piedi un po’ deformi, a causa dell'età e dei grossi sassi del fondale roccioso dei primi 15 metri di mare, su cui cammina da una vita. Scomodo e caratteristico.

Forse è stata lì tutto il giorno, sulla sua spiaggia di sassi, nel suo solito posto, della sua solita Novalja.
O forse è andata lì dopo cena, quando i turisti sono a tavola e le lasciano incustodito il suo mare, il suo solito posto, la sua solita Novalja. Perla anonima e grezza.

Illustrazione di Anna Rosa

Scritto da

Francesco Di Donna

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