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Un Brunch con... Konrad e il Collettivo Casuale

di Francesco Di Donna15/03/24
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Tempo di lettura 7 minuti

Possono accadere molte cose, in tre mesi.
Una stagione può esaurire il suo corso, aprendosi alla successiva.
Una lunga trattativa di pace può scoppiare con l’ennesima bomba.
Una vita può cominciare a fare il suo corso, oppure terminarlo.
Ci si può abituare a fare i conti con l’assenza di un affetto perduto, o venuto a mancare.
Si può cambiare casa, città, regione, persino Paese. Ci si può innamorare.
Un artista può trovare ispirazione e una promessa può essere infranta.
Una speranza dimenticata può riaccendersi, un’amicizia può nascere in un Caffè, un’opportunità imprevista può bussare alla porta, un'idea rivoluzionaria può germogliare nella mente di un visionario, o al contrario un sogno può svanire nel nulla, un rapporto può interrompersi bruscamente, un’occasione può rivelarsi una bugia, un’onda di novità può arenarsi in un nulla di fatto.
Può cambiare tutto, in un lasso di tempo così contenuto, eppure così ampio.
O niente.
Nel procedere dei giorni, dello scoccare delle ore, nel flusso incontrastabile dei minuti e dei secondi si possono prendere in mano le redini del destino, oppure possono essere lasciate lì, in balia degli eventi.

Può succedere anche "un tuo" disco, in così poco tempo, raggiunga 37500 ascolti!
Che uno dei pezzi che hai scritto e a cui tieni di più abbia fatto compagnia per qualche minuto a oltre 16000 persone.
Addirittura, che in soli quattro giorni un tuo singolo arrivi a più di 4000 persone, in Finlandia.

“Un tuo”, di chi? - si chiedono la lettrice e il lettore. Di Konrad! Konrad e il Collettivo Casuale.
Un mio compagno di viaggio di questo anno - per entrambi un giro di clessidra più unico che raro.
Siamo seduti nei banchi dell’Università, che ci rivedono protagonisti dopo i fasti di un tempo che è stato, e mi dice che c’è una cosa per me, nel suo zaino.
Tra gli appunti presi con rinnovato puntiglio di stampo giurista, prende un CD: “Questo è per te!”.
Mi racconta di questo suo ultimo disco con grande emozione, è uscito tre mesi fa, il 15 Dicembre, ed ha già raggiunto grandissimi risultati, e tantissime persone.
Mi rivela, senza nascondere un certo trasporto, i momenti in cui ha deciso di scrivere il pezzo a cui tiene di più, Mi parli da lì: ho l’opportunità di entrare in una pagina privata dolorosa e indelebile.
“Konrad, ne dobbiamo parlare in uno dei miei Brunch!”.
“Quando vuoi!” mi risponde.
“Anche ora.”

Ci spostiamo nel pub vicino.
Sono munito di carta e penna, pronto a raccogliere le fila delle sue confidenze e del suo genio, che ho già ho conosciuto e ascoltato sulle piattaforme musicali online.
Andiamo con ordine.
Partiamo direttamente da Alessandro Konrad Iarussi, "per gli amici Konrad", che è anche fulcro del Collettivo Casuale. Laureato in legge, ha un passato da avvocato, ex ciclista, oggi è musicista e insegnante.
Dunque, benvenuti e benvenute, che questo Brunch abbia inizio.

Chi è Konrad e come nasce la sua carriera da artista?
Sono stato uno dei tanti bambini timidi che tengono tutto dentro. Poi, ad un certo punto, ho capito che potevo comunicare con la musica ed è cambiato tutto. Il mondo ha cambiato colore. Io ho cambiato la mia posizione nel mondo. A 16 anni ho scritto il mio primo lavoro, Colors,  e due anni dopo ho pubblicato il mio primo disco Sottosopra. In quegli anno sono nati I Radiolondra e, nel 2006, abbiamo pubblicato l'omonimo disco alla corte di Mauro Pagani, ex PFM e produttore di Fabrizio De André. Sono poi seguiti due dischi da solista, prima del Collettivo Casuale,  Carenza di logica e Luce. Essere musicista è una cosa normale per me, perché vengo da una famiglia di artisti poliedrici, e respirare cultura era pane quotidiano.

Come nasce il progetto del Collettivo Casuale?
Il Collettivo Casuale nasce durante un tour estivo da solista. Ho condiviso il palco con Piero Filoni, chitarrista, ed è scattata la scintilla. Lui lavorava con Diana Rossi, vocalist, e mi ha chiesto di coinvolgerla. Avevo finito da poco il tour di Luce e avevo appena finito di scrivere Aria, il mio penultimo disco e, così, siamo subito entrati in studio per arrangiarlo assieme e registrarlo.

Dove prende questo nome?
Ci piaceva l'idea di un gruppo di musicisti che si incontrano casualmente e costantemente si evolvono, si trasformano. Poi, Collettivo suona di sinistra sfacciatamente, e ciò mi rende orgoglioso.

Il Collettivo ha cambiato formazione. Ci racconti chi siete stati e chi siete oggi?
Non amo parlare del passato, anche se ringrazio Piero Filoni e Diana per il percorso condiviso nella realizzazione di Aria. Oggi sono entusiasta di aver incontrato due persone meravigliose: Irene Antonazzo e Fabio Carta. Lei è un soprano leggero e questo porterà un grande cambiamento vocale. Fabio è pianista, bassista e cantante, ma anche un ottimo cuoco! Poi  ci sono Guido Paolo Longo,  produttore, fisarmonicista e pianista e Zita, superba violinista Ungherese.

Come cambia il tuo approccio alla scrittura di testi e musica in relazione ai tuoi compagni di viaggio? Alla nuova vocalist?
La scrittura dei testi non cambierà.  La musica la cambieremo assieme. Le voci saranno unite dall'anima e, Irene, ne ha tanta.

Quali valori muovono il vostro sforzo artistico-musicale?
I valori li lascio ai preti e alle suore. Sono un cantautore di sinistra, parlo di temi vicini al cuore delle persone, e tendenzialmente mi muove l'istinto. A volte faccio scelte condivisibili altre meno. Il problema però, non me lo pongo mai. Sono sempre fedele a me stesso pur nel mio continuo mutare. Non delego peso ai valori in senso stretto, ma di certo avverto la responsabilità del messaggio che possano veicolare i miei testi. È una responsabilità soprattutto nei confronti dei più giovani. Oggi leggo testi che incitano all'odio e alla discriminazione, alla violenza e al potere. Ecco, credo che il cantautorato possa salvarci da tutto questo. Altra variabile importante a cui tengo è il valore dello studio. Oggi è diffusa la credenza che chiunque possa cantare, soprattutto con il correttore di intonazione. Non è così!! Se non studi, qualsiasi cosa raggiungi durerà poco e sarà estremamente falsa.

Che cosa provi quando scrivi una canzone? Pensi mai che è come creare e lasciare una traccia potenzialmente eterna?
Ci penso spesso. Provo una forte emozione, come donare all'Universo una parte di sé. Scrivere una canzone, per me, è come farsi un tatuaggio da soli.

Qual è il processo creativo che segui quando componi una nuova canzone?
Istinto. Emozioni. Immagini. Sentimenti. Tutto ciò che muove il genere umano, insomma. Scavo nel profondo del mio animo senza filtri, quasi in trance. A volte è un'operazione dolorosa, ma tutto questo può salvarti. Una sorta di espiazione dei peccati. Come l'immergersi di Dante nel fiume Lete per bere l'acqua che cancella il dolore del peccato.

Come descriveresti il tuo stile musicale?
Oggi è cantautorale. Senza dubbio. Ne vado fiero. I cantautori, anche quelli  moderni, salveranno la musica e, chissà, forse salveranno il mondo.

Come si è evoluto nel corso degli anni?
Con I Radiolondra suonavo rock e grunge. Poi ho lavorato da solo per un po' e la via del cantautorato è stata facile da imboccare. Credo mi si addica molto. È casa mia. Mi piace l'uso delle parole e la scelta della linea melodica. Credo nella canzone e nell'unione di chitarra e voce, a prescindere dal vestito che indosserà.

Ci sono artisti o band che ti hanno influenzato maggiormente? Quali e in che modo?
Penso a De André,  a Fossati,  a Silvestri, a Fabi. Ma anche a Bono Vox, Eddie Vedder, Tom Yorke. Mi hanno influenzato sia nell'uso delle melodie che per l'importanza delle parole.

E oggi che musica ascolti?
Esattamente quella che mi ha influenzato e poi ascolto molto me stesso.  Quello che faccio oggi mi piace molto. Questo, forse, sottolinea anche il fatto di aver fatto pace con me stesso.

Per che cosa?
Per l'inquietudine che mi porto dietro per scelte fatte d'istinto, che è un mio dato caratteriale che, anche grazie alla musica, ora ho compreso e accettato.

Come nasce l'ultimo disco, per Virgin Music Group, I colori del dolore?
Nasce dal dolore per la perdita di mia madre e dall'urgenza di trovare sostegno, forza, qualcosa di bello in quel momento. Dovevo salvarmi e, questo disco mi ha salvato davvero. È un concept album dove è evidente il chaining tra le canzoni.

Qual è stata l’ispirazione principale?
Il rifiuto di essere triste. Fa parte della vita, ma io voglio essere felice. Oggi ci sono quasi, ma forse per riuscirci davvero... ho bisogno di registrare ancora un disco.

Che cosa si prova quando 37500 persone ascoltano i tuoi pezzi nel corso delle loro giornate?
Evoca tante domande. Chi sono; perché ti ascoltano; sono felici o tristi; sono innamorati o disperati? La cosa bella è l'assoluta certezza di non conoscere quasi nessuno di questi 37500. Sono certo che le persone che mi conoscono sono quelle che mi hanno ascoltato meno. Questo ti fa sentire un musicista vero. Capisci cosa voglio dire? Poter raggiungere chiunque tramite il linguaggio universale della musica.

Credi che i messaggi che intendi veicolare con la tua musica siano arrivati sempre in modo corretto?
Spero non succeda mai. Mi piace pensare che ognuno interpreti le canzoni e i testi a modo proprio. Ognuno ha necessità di legare le proprie esperienze di vita ad una canzone: in quel momento, la canzone diventa sua.

Quali sono i traguardi a cui tieni di più?
Dirò una cosa banale: essere ascoltato davvero, non distrattamente. Non credo ci sia cosa più bella di assistere alla trasmigrazione dei tuoi testi, dalla tua anima a quella di qualcun altro.

Qual è stato il momento più emozionante o gratificante della tua carriera finora?
Tutte le volte che suono in un posto che si chiama Sottovento è emozionante. Perché è vicino al mio mare, a Vieste, ed è gestito da persone meravigliose. Sarò lì anche quest'estate. Ovviamente è stato bello anche suonare al Forum d'Assago, sul palco di Arezzo Wave, al Concerto del Primo Maggio, a Sanremo, a lavorare con nomi importanti del panorama musicale italiano.  Ma suonare lì mi commuove. È il mare di Puglia! Il mio.

Secondo te, qual è il vostro target? Che aspettative ha il vostro pubblico?
Il nostro target è chi ascolta la musica col cuore e con la pancia. Con emozione. Spero che il nostro pubblico si aspetti sempre qualità e scelte coerenti.

Quali sono i vostri progetti futuri?
Stiamo lavorando al nuovo disco e presto ci uniremo sul palco. Non vedo l'ora di iniziare questo rinnovato viaggio. Ho davvero delle buone vibrazioni.

Konrad, che ruolo vuoi giocare nel tuo mondo, in qualità di artista?
Io vorrei solo giocare il ruolo del musicista felice, onesto, vero. Voglio essere l'amico sincero del mio pubblico e dei miei compagni di viaggio.

Il nostro dialogo conviviale è stato denso di aneddoti, risate, provocazioni, metafore e cose da mangiare.
Non tutto trova spazio qui, com'è giusto che sia.
Questa è una parte, molto concreta, che può essere letta e ascoltata, con il cuore e con la pancia.
"Ecco, la musica è finita, gli amici se ne vanno...", scriveva Franco Califano in una poesia contemporanea.
Ora il Brunch è finito, ma la musica continua e gli amici restano a chiacchierare un altro po'.
Ringrazio Konrad per il tempo qui dedicato, per l'arte sprigionata dal Collettivo Casuale, per il regalo che mi ascolterò ancora una volta.
La speranza è che, già stasera, quel numero incredibile possa diventare 38000, o magari qualcosa in più.

A volte, il dolore innesca una spinta creativa inimmaginabile.
La riconosci lì, l'arte.
Ascoltala.

PS: "Ma come ci è arrivato in Finlandia?" gli chiedo.
"Non ne ho idea!", sipario.

Scritto da

Francesco Di Donna

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