Siamo a febbraio. Se dicembre è il mese delle corse, degli obiettivi e dei propositi, gennaio è quello della lentezza, quello che sembra non passare mai. Non sono riuscita a pubblicare nulla, a gennaio. E non per mancanza di volontà, ovviamente. Non riuscivo a trovare uno spunto degno di essere messo su carta, e l’horror vacui alla fine ha avuto la meglio. Da quando scrivo, i miei testi rispecchiano le cose che vivo, i sogni che faccio e le persone che incontro ed in un periodo in cui la mia vita è cambiata radicalmente ho fatto fatica a capire dove rivolgere la penna. Bergson sostiene che “l’arte di scrivere consiste nel far dimenticare al lettore che ci stiamo servendo di parole”, ed è proprio per questo che io preferisco intrappolare le immagini, i momenti che altrimenti scapperebbero via feroci.
È una pausa mensa come tante altre, sono in cortile ed i miei bambini giocano sereni all’ombra di questo febbraio fin troppo caldo. Non si accorgono che li osservo, che cerco di intrappolare la loro spensieratezza, la bellezza di un’età che corre veloce, che ricordo con affetto. Ho iniziato con loro da qualche giorno un percorso sulla “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, di Luis Sepúlveda. Un grande classico per l’infanzia, e non solo. L’autore, morto nel 2020 dopo quasi due mesi di ricovero per Covid, è celebre per i suoi racconti, capaci di parlare negli anni ad un pubblico vastissimo. Durante un’intervista, alla domanda del giornalista che gli chiedeva se la favola fosse un mezzo per raccontare la realtà, egli rispose: “Credo che tutte le favole raccontino la realtà e il nesso tra realtà e atteggiamenti umani. La favola riflette la realtà in uno specchio strano, poco convenzionale, e fornisce un'immagine che permette una migliore comprensione della realtà”. Da sempre, guardare alla vita di sbieco, sovente attraverso gli occhi di animali o essere fantastici, ci consente di oggettivare i comportamenti umani, e forse in questo modo di comprenderli meglio.
La storia è ambientata ad Amburgo ed inizia con morte della gabbiana Kengah causata dal petrolio con cui era entrata in contatto durante la pesca di un’aringa. Prima di spirare, sul balcone su cui si è lasciata andare, incontra un gatto domestico, Zorba, e gli fa promettere non solo di covare il suo uovo e di non mangiarlo, ma anche di insegnargli a volare. Come hanno sottolineato i miei bambini più e più volte, una missione davvero difficile. Zorba si prende cura della gabbianella Fortunata, e con i suoi amici la aiutano a crescere e superare le sue difficoltà. Una fra tutte, la sua convinzione di essere un gatto, la sua volontà di assomigliare a coloro che l’hanno cresciuta e che le hanno insegnato l’amore. Dopo vari tentativi di insegnare alla piccola a volare, gli animali decidono di rivolgersi ad un uomo, cosa che li costringerebbe ad infrangere il tabù che vieta ai gatti di parlare con gli esseri umani. Il nostro gatto tuttavia capisce che il problema è solo scegliere la persona più adeguata con cui comunicare, e la sua scelta ricade sul poeta padrone di Bubulina, una gatta bellissima. Il poeta, leggendo una poesia di Bernardo Atxaga, illustra come i gabbiani siano fortemente attratti dalla pioggia e come l’occasione più propizia per insegnare alla gabbianella a volare sia quella di portarla la sera stessa sul campanile di san Michele affinché possa spiccare il volo.
«Volo! Zorba! So volare!» strideva euforica dal vasto cielo grigio. L'umano accarezzò il dorso del gatto.
«Bene, gatto. Ci siamo riusciti» disse sospirando.
«Sì, sull'orlo del baratro ha capito la cosa più importante» miagolò Zorba. «Ah sì? E cosa ha capito?» chiese l'umano. «Che vola solo chi osa farlo» miagolò Zorba. «Immagino che adesso tu preferisca rimanere solo. Ti aspetto giù» lo salutò l'umano.Zorba rimase a contemplarla finché non seppe se erano gocce di pioggia o lacrime ad annebbiare i suoi occhi gialli di gatto nero grande e grosso, di gatto buono, di gatto nobile, di gatto del porto.
La gabbianella, nonostante le titubanze iniziali, alla fine spicca il volo. Sull’orlo del baratro in una sera di pioggia, il gatto Zorba guarda la gabbiana che ha cresciuto come un suo cucciolo spiccare il volo, e ci ricorda che nella vita “vola solo chi osa farlo”, ma che non si arriva mai a farlo da soli. Ci ricorda che a volte è bene chiedere aiuto, o tendere una mano a chi ne ha bisogno. Nella semplicità di una favola, poi diventata anche un film, è presente il forte promemoria che la diversità è un valore, perchè se un gatto può insegnare ad un uccellino a volare, incredibili sono le cose che possiamo fare se lavoriamo insieme.
Ma ora la campanella sta risuonando, l’intervallo è finito ed è ora di risedersi tra banchi. Chissà se saranno abbastanza per fargli spiccare il volo, quello che è certo è che avranno sempre una mano tesa ad indicargli la strada.
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