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La rivolta di Varsavia

di Alessandra Dondi05/03/24
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Tempo di lettura 6 minuti
Monumento in ricordo della Rivolta di Varsavia

Mi sono chiesta: “mio Dio, ci sarà qualcuno che apprezzerà tutto questo, a parte noi? Noi sappiamo di farlo, sappiamo perché lo stiamo facendo, ma gli altri capiranno che volevamo tutti essere liberi, e che questo è il motivo per cui abbiamo iniziato questa avventura, come veniva chiamata?”. Ma no, nessuno aveva alcun dubbio. Mi chiedevo “qualcuno apprezzerà tutto questo? Ne è valsa la pena?”; volevo risposte, ma in fondo sapevo che era necessario, che avrebbe portato a dei risultati.

Irmina Leokadia Zembrzuska-Wysocka “Irma”

Visitare Varsavia è come immergersi nella storia del XX secolo: più passeggio per la città e più scopro targhe, monumenti e murales che ricordano eventi della storia polacca ed europea. Tra questi ve ne è uno che mi ha particolarmente colpito: la rivolta di Varsavia del 1944.
Ogni anno alle 17 in punto del 1° agosto l’intera città si ferma per un minuto per commemorare le vittime di tale insurrezione.

Come è ben noto, il 1° settembre 1939 il Terzo Reich invase la Polonia, spartita con l’Unione Sovietica secondo le direttive sancite dal Patto Ribbentrop-Molotov.

La distruzione della Polonia è il nostro obiettivo primario. [...] Non siate misericordiosi. Siate brutali”, avrebbe detto Hitler ai suoi comandandti qualche giorno prima dell’invasione.

Dopo due giorni Francia e Gran Bretagna, alleate della Polonia, dichiararono guerra alla Germania nazista, ma non intrapresero alcuna azione militare. I militari polacchi, lasciati soli, subirono fin da subito grosse perdite.

Il 17 settembre fu la volta dell’invasione sovietica, violando il Patto di non-agressione sovietico-polacco stipulato nel 1932: “se non c’è più un governo in Polonia, non c’è nemmeno un patto di non-aggressione”, venne detto all’Ambasciatore polacco a Mosca.

Nell’arco di poche settimane le forze armate polacche furono costrette alla resa ed ebbe inizio l’occupazione. Tuttavia già a novembre la popolazione polacca iniziò a organizzare movimenti di resistenza all’occupazione, di cui il più noto fu il movimento partigiano Armia Krajowa (Armata Nazionale), diretta dal Governo polacco in esilio a Londra.

Il 28 settembre le due forze di occupazione stipularono un patto per la suddivisione della Polonia in due parti uguali.

Il 12 ottobre i nazisti crearono il Governatorato Generale per le aree occupate della Polonia che comprendeva i quattro distretti di Cracovia, Radom, Lublino e Varsavia. I sovietici invece governarono nei territori ucraini e bielorussi.

Divisione della Polonia dopo l'occupazione nazi-sovietica, 1939. Foto scattata al Warsaw Rising Museum

In tutti i territori occupati furono introdotte politiche di repressione e sterminio dei leader polacchi, accompagnate da deportazioni, espulsioni, violenze di ogni genere che sfociarono anche in pubbliche esecuzioni.
La popolazione civile venne fortemente deprivata di razioni alimentari e i bambini subirono maggiormente le conseguenze. Al fine di permettere la loro sopravvivenza, era severamente vietato macellare mucche e capre poiché il loro latte era l’unico sostituto di quello materno, che le donne non riuscivano a produrre a causa della malnutrizione.
Considerati “subumani” nella classificazione razziale nazista, donne e uomini polacchi erano concepiti come servi-lavoratori dell’Impero tedesco.

Subito vennero eretti i primi campi di concentramento e sterminio, tra cui: Stutthof (1939), Auschwitz (1940), Majdanek (1941) e Płaszów (Cracovia, 1944).

Nella Polonia nazista gli ebrei furono tra i maggiormente perseguitati: obbligati a vivere in ghetti (quello di Varsavia venne imposto dal 1940 a oltre 450mila persone, di cui sopravvissero solo poche decine di migliaia), con la “soluzione finale” vennero deportati in massa verso i lager.

Monumento "agli Eroi del ghetto", via Ludwika Zamenhofa - ex ghetto ebraico; sullo sfondo si vede il Museo Polin
Monumento a Willy Brandt, Kniefall von Warschau
Pavimentazione della città che traccia il confine del ghetto ebraico

Le relazioni sovietico-naziste cambiano però con l’Operazione Barbarossa (1941), ovvero il tentativo del Reich di espandere il proprio Lebensraum ancora più a Est, determinati a conquistare l’Unione Sovietica.

La sconfitta tedesca nella Battaglia di Stalingrado aveva rafforzato i timori nei confronti dell’Unione Sovietica.

Nell’ottobre del 1943 il Comandante Generale dell’esercito polacco Kazimierz Sosnkowski inviò una direttiva al Paese in cui comandava alle autorità domestiche di prevenire l’entrata dell’Armata Rossa nel Paese attraverso l’intensificazione delle attività di sabotaggio, rimanendo sotto copertura.

Venne anche dato inizio all’operazione “Burza” (“Tempesta”), ovvero una serie di rivolte anti-naziste nelle zone occupate dalla Wehrmacht. Inizialmente il piano prevedeva il supporto dell’Armata Rossa, ma dopo le accuse mosse dal governo polacco in esilio a Londra sulle responsabilità del governo sovietico per il massacro di Katyn’ (massacro sommario di 22mila membri dell’Intelligencija polacca da parte dell’NKVD), Stalin ruppe la collaborazione. Di conseguenza le truppe sovietiche non vennero più considerate dai polacchi come i liberatori, quanto piuttosto come “alleati dei loro alleati”. La grossa problematica fu rappresentata dal fatto che nel Paese vi erano già due eserciti che che combattevano secondo linee politiche differenti: quella del governo polacco in esilio e quella dell'Unione Sovietica.

Nei primi giorni di gennaio 1944 l’Armata Rossa entrò nella parte di territorio polacco sotto controllo nazista e insieme all’Armia Krajowa (AK) riuscirono a sconfiggere le truppe naziste. Tuttavia l’Armata Rossa era accompagnata da agenti dei servizi segreti che avevano lo scopo di sciogliere il movimento di resistenza polacco. Mentre i due eserciti si spostano verso ovest per combattere contro i nazisti, l’AK viene attaccata anche dall’Armata Rossa.

Entro l’estate l’esercitio sovietico avrebbe raggiunto Varsavia: la città era la sede delle organizzazioni di resistenza e per questo considerata dal governo nazista come fonte di disordine per tutto il Paese.

Al contempo, il governo sovietico non considerava il governo polacco in esilio a Londra come legittimo e infatti crearono il Comitato Polacco per la Librazione Nazionale a Mosca, costituito da uomini fedeli a Stalin.

L’intenzione degli insurrezionisti era di liberare la città dai tedeschi prima che arrivassero i sovietici, così da porsi come unici governanti legittimi e smettere di rinunciare all’indipendenza del proprio Paese.

Il 31 luglio i carri armati sovietici erano ormai giunti alle porte della città: fu allora che il Generale polacco Bor dispose l’ordine di iniziare la rivolta alle ore 17:00 del giorno seguente, noto come “W-hour” (notare che la Kotwica – costituita dalla lettera P sotto cui è scritta la lettera W come se fosse un’ancora, a significare Polska Walcząca, ovvero “La Polonia combattente” – fu il simbolo della rivolta).

La rivolta venne accolta con gioia dalla popolazione civile, che ebbe parte attiva nel supportare gli insurrezionisti. In particolare il ruolo delle donne fu fondamentale, in quanto agirono sia come soccorritrici e infermiere nel curare i feriti, sia come supporto logistico e in alcuni casi come soldatesse.
Eppure l’entusiasmo iniziale venne presto soppresso dalla sensazione di abbandono da parte degli alleati franco-inglesi, che non intervennero militarmente.

Nel frattempo Hitler diede l’ordine di distruggere la città con la propria popolazione: le SS organizzarono esecuzioni di massa che non risparmiarono nessuno, nemmeno i pazienti degli ospedali o le suore. Ma questi fatti incrementarono solo la volontà della popolazione di opporsi al loro governo.

Gli insurrezionisti resistettero per due mesi contro le truppe naziste (inevitabilmente meglio equipaggiate) ma alla fine dovettero arrendersi.

In questi 63 giorni di combattimenti, 18mila insurrezionisti persero la vita, mentre il numero di civili uccisi oscilla tra i 130 e i 150mila morti. Solo il 5 agosto le SS esecutarono 20mila tra donne, uomini e bambini.

Dopo il fallimento della rivolta, Hitler ordinò alle proprie truppe di radere al suolo la città e deportare la popolazione rimasta. Dell’oltre milione di abitanti della città a inizio guerra, solo circa un migliaio erano rimasti a vivere nelle rovine dei palazzi, distrutti per oltre il 90%.

Nella Polonia comunista del post-guerra, i membri dell’AK e gli insurrezionisti sopravvissuti vennero considerati collaborazionisti dei nazisti e, di conseguenza, dei fascisti. Fu allora proibito commemorare gli eventi legati alla rivolta e ai combattenti che morivano non fu concesso alcun grado militare in loro onore. Anzi, gli insurrezionisti di alcuni battaglioni vennero arrestati dall’Ufficio per la Sicurezza e rinchiusi nelle stesse celle adibite ai soldati nazisti.
Al fine di sminuire quanto successo, venne introdotta la retorica dello scontro tra classi sociali come giustificazione del fallimento della rivolta e fu quindi considerato futile ricordare tali eventi.

Riferimenti:
Materiale distribuito dal Warsaw Rising Museum;
Sito web http://www.warsawrising.eu/ sulla storia della Polonia durante la Seconda Guerra Mondiale gestito dal Warsaw Rising Museum.

Oltre che consigliare la visita al Museo per chi fosse a Varsavia e il sito web sopra citato, consiglio anche di dare un’occhiata ai seguenti materiali:

  • Materiali aggiuntivi per approfondire la storia della Polonia nella Seconda Guerra Mondiale;
  • Separati dalla Storia, storia della popolazione polacca dal 1939 al 1989 attraverso le immagini;
  • L’Operazione “Burza” e la Rivolta di Varsavia raccontate per immagini;
  • The City of Ruins: ciò che rimase di Varsavia dopo il fallimento della Rivolta.

NB: ricordo al lettore/lettrice che non sono una storica, per cui mi scuso per eventuali errori riportati in questo testo. Se il/la lettore/lettrice dovesse notare errori nell’analisi storica, è invitato/a a contattarmi tramite l’Associazione.

In copertina: monumento alla rivolta di Varsavia

Scritto da

Alessandra Dondi

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