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Le origini del Male

di Alessandra Dondi25/01/24
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Tempo di lettura 5 minuti
"Nessuno ha il diritto di obbedire", ex casa del fascio di Bolzano

ATTENZIONE: il testo riporta un linguaggio legato alla violenza che potrebbe urtare la sensibilità del lettore.

Quando si pensa al “male”, nella nostra mente subito appare nitida un’immagine: Auschwitz, il simbolo della bassezza e dell’involuzione umana.

Nell’immaginario collettivo Auschwitz rappresenta l’anima della Memoria occidentale (“meditate che questo è stato”), eppure non si ricordano mai le radici europee del nazismo che ha poi ("solamente") prodotto materialmente questa fabbrica della morte.

Auschwitz è infatti il risultato di un processo lineare e coerente radicato nell’Europa imperialista, prima ancora che nella Germania nazista.

Sono molteplici gli elementi che, dalla fine del XVIII secolo, si sono accumulati fino a sfociare nella brutale creazione dei campi di concentramento e sterminio (qui una mappa).

La ghigliottina, introdotta con la Rivoluzione Francese come perfezionamento della mannaia italiana, venne accolta all’epoca come frutto della ragione poiché emancipava il carnefice da pilastro dell’ordine tradizionale a semplice cittadino, permettendo all’uomo di non doversi più sporcare direttamente le mani del sangue altrui. Da allora la morte venne spersonalizzata, disumanizzata, affidata a un macchinario che permetteva di compiere esecuzioni seriali (Sofsky, cit. in Traverso, 2002). Ricorda qualcosa?
Proprio per la sua efficacia la ghigliottina venne considerata come figlia del progresso umano in quanto rendeva la morte meno dolorosa che in passato. Così mentre i medici si preoccupavano di ridurre la sofferenza umana, gli ingegneri si scervellavano per garantire la massima efficienza con il supporto dei custodi, considerati semplici manutentori.
Non sorprende dunque ritrovare quasi un secolo e mezzo dopo queste stesse figure in ruoli analoghi per il progetto Aktion T4.

Cosa dire allora della disciplina di costrizione corporale introdotta nelle prigioni britanniche a inizio 1800? Il “mulino disciplinare” (tread-mill) di William Cubbit (costituito da cilindri spinti dai detenuti per ore) rappresenta la sintesi della disciplina panottica e corporale volta a controllare totalmente il detenuto tramite la sua rieducazione attraverso la macchina (de Gaudemar, cit. in Traverso, 2002). Le prigioni dell’epoca erano veri e propri luoghi di persecuzione e umiliazione in cui si faceva uso di una “violenza inutile, fine a se stessa, volta unicamente alla creazione del dolore”, come avrebbe detto Primo Levi.

Sebbene non vi sia certezza al riguardo, pare che anche la razionalizzazione dei mattatoi (spostati nelle periferie, concentrati e ridotti in numero) abbia contribuito alla catena che in un secolo avrebbe prodotto i lager: il metodo rimase lo stesso (la “morte alla catena di montaggio”; Lanzmann, cit. in Traverso, 2002), solo che venne applicato direttamente sulle persone. Come scrisse Kracauer, “I lager nazisti erano mattatoi in cui individui declassati dal genere umano erano uccisi come animali” (Kracauer, cit. in Traverso, 2002).

Rimaniamo ancora nel 1800, il secolo del positivismo, la piena fiducia nella scienza. Secolo della teorizzazione dell’”Origine delle specie” di Darwin, il quale, contrariamente a quanto viene insegnato, contribuì (indirettamente) allo sviluppo del “darwinismo sociale”, ovvero l’applicazione della teoria evoluzionista alle “razze” umane, che giustificherebbe la prevaricazione di alcuni gruppi sociali su altri perché “più deboli”. Questo fu il punto di partenza anche di Ratzel, geografo tedesco che per primo a fine Ottocento coniò il termine Lebensraum, successivamente approfondito dal generale e politologo (oggi diremmo geopolitico) Haushofer, considerato tra i teorici del nazismo. Lebensraum, o posto al sole per noi italiani: Germania e Italia erano due nazioni giovani negli anni Trenta (sia in quanto a età media che per costituzione) e avevano diritto a espandersi a danno di altri Stati più vecchi, quindi più deboli. Era naturale agli occhi dei fascisti, così come era naturale razzializzare non solo altri popoli (ovvero persone di diversa nazionalità), ma gli stessi Italiani (come avvenne con gli ebrei).

Con la Prima Guerra Mondiale si assiste all’applicazione del taylorismo anche in ambito militare*, per cui avvenne il passaggio dall’operaio-massa al soldato-massa (Gibelli, cit. in Traverso, 2002), il “milite del lavoro” (Jünger). La conseguenza: la morte anonima di massa (Gibelli, cit. in Traverso, 2002). Il soldato, spersonalizzato, irriconoscibile, corpo privo di faccia, perde l’aurea di eroicità guadagnata nei secoli precedenti a favore del milite ignoto, un corpo sorteggiato tra i cadaveri mutilati il cui anonimato era l’unico suo titolo di gloria (Caillois, cit. in Traverso, 2002). Le percezione del nemico come invisibile, semplice ammasso di membra senza nome, giustificò una guerra sanguinosa che portò un cambiamento nella concezione della morte (Cru, cit. in Traverso, 2022). La stessa coesistenza antinomica di normalità e distruzione, civiltà e morte, facilitò questo passaggio.

Un’ulteriore involuzione che portò alla creazione dei lager fu l’eugenetica, o “igiene della razza” per i nazisti. Il primo congresso di Eugenetica si tenne a Milano nel 1924 ma politiche eugenetiche erano già state adottate da USA e Paesi Scandinavi a inizio 1900 nei confronti di persone con patologie mentali al fine di elevare la razza umana. Suona familiare, no?

La caratteristica fondamentale del Nazionalsocialismo è stata architettare la distruzione degli ebrei (ma non solo) attraverso un “ordine concettuale concreto” imperniato sulle nozioni di suolo, spazio vitale, razza e volontà (Diner, cit. in Traverso, 2002) e impensabile in assenza di una efficiente burocrazia, come lo è quella tedesca fin dai tempi di Weber, il suo teorico.

Quelli riportati sono solo alcuni esempi di elaborazioni umane sviluppate in diverse parti d’Europa dalla fine del 1700 e poi sfociate nella creazione di fabbriche della morte.
Alcune di esse vennero accolte con entusiasmo perché permettevano di sostituire il ruolo sporco dell’uomo e alleviare la coscienza umana.

In un momento storico di forte individualismo caratterizzato da una galoppante onda nera che sta pericolosamente travolgendo l’Europa, diventa sempre più importante prestare attenzione a tutti i segnali di marginalizzazione e disumanizzazione dell’altro (come accade ai migranti, considerati semplici numeri invece che persone) che non possiamo più permetterci di sottovalutare. Il rischio che corriamo (o meglio, stiamo già correndo)? Ce lo ricorda ancora una volta Primo Levi in una citazione estremamente inflazionata che è in realtà un monito fortissimo:

"A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano."

Se imparassimo a leggere il mondo con uno sguardo critico, ci accorgeremmo che abbiamo già prodotto i nostri lager: Libia e Mediterraneo sono solo gli esempi più lampanti.

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* Un esempio di applicazione del taylorismo da parte dei nazisti è dato dalla figura dei Sonderkommando, la cui suddivisione del lavoro era scandita (necessariamente) da precise tempistiche.

Come intuibile dal testo, esso è un riassunto (estremamente stringato) del libro “La violenza nazista: una genealogia” di Enzo Traverso (Il Mulino editore, Bologna, 2002). Laddove mancano le citazioni, sono da intendere come rielaborazione delle parole di Traverso. Ne consiglio fortemente la lettura per comprendere maggiormente alcuni aspetti di una parte di Storia con cui non riusciamo a fare i conti.

Foto di Arno Senoner, Unsplash

Scritto da

Alessandra Dondi

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