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Dargen, Ghali e Geolier.

di Antonio Roma16/02/24
Categoria: Tag:none
Tempo di lettura 5 minuti

Buongiorno, come state? Spero bene.

Sabato 10 febbraio, Sanremo si è concluso, ma sono appena iniziate le accese discussioni post Festival.

Di mestiere faccio l’Artista e oggi voglio condividere la mia idea, la mia posizione, la mia visione sui casi Dargen, Ghali e Geolier.

Premessa: qualche tempo fa su un noto palco milanese ho portato un lavoro teatrale, Fisionomie, nel quale parlavo di migranti con una schietta e passionale critica alla politica del ministro Piantedosi, appena eletto.

Inutile dire che quel monologo, il cartello con scritto carico residuale e gli stivali di gomma che portavo in scena hanno sancito la fine di una collaborazione che durava da anni con quel teatro. Ma come dice sempre la mia mamma certa gente è meglio perderla che trovarla. 

Tornando a Sanremo. Il venerdì Geolier vince, grazie al televoto, la serata delle cover. Ci sono fischi da Sanremo in platea, e ci sono fischi anche in sala stampa, dove c’è persino qualcuno che si lascia andare a commenti del tipo “Ma chi è questo? Gli ho dato uno!” e “Non fate più votare la Campania!”. C’è addirittura chi domanderà a Geolier se non pensa di aver rubato la vittoria.

Rubato. La scelta delle parole non è mai casuale.

Ma facciamo un passo indietro…

Geolier ha potuto cantare in napoletano grazie ad una deroga al regolamento che dice che bisogna cantare in italiano (come se i dialetti fossero qualcosa di avulso all’italiano) e ha attirato una massa di voti da tutta Italia (diventando scomodo).

Ma come, cantando in napoletano? Sì, cantando in napoletano. Su Spotify Napoli è solo la terza città di ascolto di Geolier, la prima è Milano. “Beh, a Milano sono tutti terroni” commenta in modo scontato e sarcastico qualche saccente. 

Ma la verità è che non è così e non è così semplice… Geolier canta in napoletano e arriva alla gente di tutta Italia(non solo di Napoli) perché parla una lingua autentica che, proprio come l’argot in Francia e il patwa in Giamaica, arriva alla pancia e allo stomaco delle persone.

Roberto Saviano nel video commento del Festival realizzato per Fanpage spiega bene come il dialetto raccolga in sé uno slang, una onomatopea, un’emozione, molto più di una lingua ascoltata al telegiornale, nei tribunali, nei luoghi di potere (sempre che la si sappia parlare verrebbe da dire, giudicando la mediocrità e gli strafalcioni dei nostri governanti ogni qualvolta aprono bocca). 

Dice sempre Roberto Saviano nel video fatto per Fanpage:

la magia della lingua napoletana è che puoi non capirla ma non ti respinge. In un mondo dove tutto è sempre respingimento e selezione, dove non si è mai abbastanza per… Napoli accoglie. Sei napoletano nel momento in cui vuoi esserlo e quella lingua, quella cultura e quella città di abisso e meraviglia ti fa sentire nel profondo la tua vita. Questa è la magia.”

Ora, se il fischiare è parte dell’arena artistica e di Sanremo, chi ha cercato di vedere nel successo numerico di Geolier il complotto, napoletani che si votano tra di loro, malavitosi che pagano per far votare, non ha visto e non conosce il fenomeno che è quello di un ragazzo, lui come altri, che semplicemente incarna la realtà, che se da un lato è schifo, dall’altro è amore, riscatto, slancio, vitalità.

È tutt’altro che propaganda del male, è racconto del male. Racconto che, spesso, questi artisti, che arrivano dalla strada, veicolano molto meglio di intellettuali impauriti. E chi ascolta non ne è affascinato perché condivide o si identifica ma perché sa che quel racconto è vero e autentico, e non filtrato dai giornali e dalla politica. 

Nella Sanremo che doveva essere anestetizzata dalla televisione di regime, dalla Rai governata in ogni anfratto dall’estrema destra, accade invece che Dargen e Ghali parlino di Pace e che Geolier usi la lingua napoletana e arrivi a milioni di persone.”

È vergognoso che la Rai abbia imposto la lettura di un comunicato.

La pace non è mai divisiva. Loro hanno semplicemente chiesto che le vittime civili in questa guerra vengano risparmiate.

Si sono fatti interpreti anche di migliaia di israeliani che sono contrari alle politiche di Netanyahu e portavoce dell’orrore che stanno subendo migliaia di palestinesi innocenti che nulla c’entrano con Hamas.

Sono stati artisti che parlano alla loro generazione.

Sono stati artisti che fanno gli artisti.

Guardare il mondo in cui vivono e raccontarlo. Impensabile poter censurare questo.

Per quanto possano tentare di governare ogni singola virgola, costruire una struttura completamente compiacente al governo, l’Arte e l’Indignazione trovano sempre il modo di emergere e arrivare.

Il dialetto, o meglio la lingua napoletana, non ha allontanato, ha unito, come quando Ghali ha cantato in arabo. Il suscitare di cui parlava Gunther Anders. L’Arte è il più alto atto di Resistenza umana. 

Chiedere lo stop a un genocidio non è un messaggio divisivo. Non basta che un ambasciatore di un’altra nazione sia contrariato perché i vertici del servizio pubblico si sentano costretti a intervenire direttamente. E no, il successo numerico di un artista al televoto, anche se non vi piace, non significa rubare.

Geolier non è un ladro, Ghali non è un combattente di Hamas e Dargen non è uno scafista. 

Ma se vi dicessi che nella storia del Festival questa non è la prima volta che si cerca di censurare la voce degli artisti che danno fastidio?

Da Loredana Bertè a Enzo Jannacci, da Domenico Modugno a Vasco Rossi, da Lucio Dalla a Giorgio Faletti, nei primi quarant'anni di Sanremo i testi di grandi cantanti ma anche di interpreti insospettabili sono stati passati al vaglio di severe commissioni selezionatrici. Con episodi anche surreali…

Per citarne alcuni…

1971: Viene invece ammessa in gara 4/3/1943, scritta da Lucio Dalla insieme a Paola Pallottino, storia di una ragazza madre che ha un figlio da un soldato alleato, rimasto ucciso in guerra di lì a poco. 

Ma la scure della censura cala almeno tre volte, a cominciare dal titolo che da Gesubambino cambia nella data di nascita del cantautore bolognese, per continuare con “giocava alla Madonna/con il bimbo da fasciare” che diventano“giocava a far la donna”, per concludersi con i celebri versi finali: “e ancora adesso che bestemmio e bevo vino/per i ladri e le puttane sono Gesù Bambino” , trasformati nei meno “scandalosi” “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino/per la gente del porto sono Gesù Bambino”.

1982: L'esordio a Sanremo di Vasco Rossi, con la memorabile Vado al massimo, non poteva non contenere un piccolo guaio con la censura. 

Il testo originale dice: “vado in Messico, voglio andare a vedere se come dice il droghiere, laggiù masticano tutti foglie intere”, parole che non hanno bisogno di interpretazioni. Il signor Rossi viene caldamente invitato a modificare il verso in “laggiù vanno tutti a gonfie vele”, ma troverà ugualmente il modo di épater le bourgeois sul palco del Festival.

1997. Chiudiamo in bellezza con uno dei pezzi più dolorosi e sofferti degli ultimi decenni sanremesi, Luna di Loredana Berté, apice di un momento personale difficilissimo per la cantante calabrese, coinciso con la morte della sorella Mia Martini. Del tutto comprensibile, perciò, quel “vaffa rivolto in apertura al noto satellite terrestre. Troppo scandaloso, però: ignote le motivazioni artistiche che portarono a trasformare il verso in “occhiali neri, Luna”.

Illustrazione di Caterina Cere

Scritto da

Antonio Roma

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