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Le leggi di natura

di Mario Roma22/02/24
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Tempo di lettura 3 minuti

All’interno di quell’incredibile calderone, che è la formazione del sapere, c’è un enorme dibattito che da sempre mi perplime, una questione che mi attanaglia che si compone di prese di posizione che spesso mi lasciano interdetto. Sto parlando della contrapposizione, a mio avviso forzata, tra ciò che è umanistico e ciò che è scientifico. Ecco che da una parte si collocano tutte quelle discipline, quelle forme di sapere che si considerano, per tradizione forse, legate alla sfera dell’umano, dell’uomo, del linguaggio e della comunicazione, dell’arte e delle sue inclinazioni e dall’altra invece quelle con una marcata componente statistica, logica, razionale. Da qui nasce il paradosso che ci porta a considerare l’uomo e le sue rappresentazioni artistiche come irrazionali e la scienza viceversa come rigorosa ed assoluta, per alcuni forse degna di uno status superiore. Ora, non é mia intenzione rifugiarmi in una dissertazione vittimistica, che mi porterebbe a difendere le discipline umanistiche e a rivendicarne la grande componente razionale. Voglio piuttosto analizzare la componente umana e assolutamente priva di logica di alcuni aspetti scientifici. Per priva di logica non intendo che non abbia senso, non mi permetterei mai, intendo proprio che non risponde al rigore che abitualmente consideriamo “scientifico”.

Nel 1905 Albert Einstein pubblica la teoria della relatività ristretta. Sconvolgendo i postulati della fisica classica, quella Newtoniana, che consideravano il tempo come una entità assoluta, Einstein comprende invece che non solo il concetto di tempo è relativo, ma che esso si dilata o si restringe a seconda della velocità alla quale andiamo. L’unica velocità a rimanere costante e sulla quale si basa il concetto di tempo stesso per come lo intendiamo noi, è la velocità della luce, che è sempre uguale e viaggia a circa 300.000 km/s in qualunque sistema di riferimento.
E all’interno di questo complesso sistema, il tempo e lo spazio diventano un oggetto unico in grado di deformarsi alla presenza di grandi masse. Il tempo che conosciamo, lo spazio che conosciamo dunque, non sono per niente concetti rigorosi, assoluti, quanto piuttosto relativi. Nella vita di tutti giorni non ce ne accorgiamo certo, semplicemente perché le velocità alle quali siamo sottoposti sono estremamente piccole. Che cos’è una camminata a 5 km/h, in confronto alla velocità della luce?

Torniamo a noi, non voglio assolutamente tediarvi con una lezione di fisica, materia che peraltro non conosco e che non mi permetto di spiegare (meno male che non ci sono fisici tra i lettori di questo blog). Sto cercando semplicemente di elaborare un pensiero coerente con l’incipit di questo articolo. In che modo possiamo interfacciarci con le discipline convenzionalmente chiamate scientifiche, senza ritenerle pregne di una componente filosofica fondamentale? Come possiamo definirle rigorose solo perché ci posizioniamo al centro del dibattito e non riusciamo, o non vogliamo, osservarne la componente illogica e fuori dal nostro controllo? Certo direte voi, Einstein è riuscito a trovare una logica a tutto questo, ha compreso il funzionamento di questi concetti. E allora mi domando, chi dice alla luce di comportarsi in quel modo? Di viaggiare in maniera costante a quella velocità? Chi dice al tempo e allo spazio di deformarsi in presenza di grandi masse? E facendo altri esempi, possiamo studiare gli atomi, le molecole, conoscere l’idrogeno, comprendere che l’acqua è formata da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, ma chi ha stabilito tutto questo? in buona sostanza: chi c’è dietro le leggi di natura?

Penserete che la mia è solo filosofia spicciola, che faccio uso di strane sostanze o che più semplicemente dovrei smetterla di farmi domande. Forse avete ragione, lascio a voi il compito di capire rispetto a che cosa.

Scritto da

Mario Roma

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