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Match point

di Mario Roma08/12/23
Categoria: Tag:none
Tempo di lettura 2 minuti

Novembre mi ha mentito. Ha cambiato la sua durata, è diventato uno stato d'animo, un luogo della mente nel quale ripongo il mio vittimismo. Da quanti giorni è composto sto mese?

Le parole mi hanno sempre dato modo di sintetizzare, in un modo o nell'altro l'enorme fardello di pensieri che si accumulavano pian piano dentro me. Alcuni concetti, solo abbozzati nella mia psiche, acquisiscono una forma, prendono una direzione, vengono impacchettati in modo da essere fruibili, pronti per la sommnistrazione. Ci riflettevo stamattina, riflettevo sull'assoluta esigenza che abbiamo di dare una forma compiuta alle cose, di attribuire senso e significato agli oggetti, alle circostanze. Alcune cose non ci vanno bene così come sono e, attenzione, non perché siano meno comprensibili o di più difficile lettura, semplicemente perché siamo portati a trasformarle, riassumerle all'interno di schemi prefissati, che poco spazio lasciano al caso. In match point, l'immenso Woody Allen, tramite una metafora sportiva, ci rendeva partecipi dell'enorme peso che la casualità, o meglio la fortuna ha nelle vite di ciascuno. Ecco che basta davvero poco e la pallina esce fuori dal campo (campo rettangolare, con una forma ben definita, composto da linee dritte, rettangolari, come tutti i campi di praticamente qualunque sport), basta davvero poco e il nastro della rete ci impedisce di fare punto, basta davvero poco e non riusciamo o riusciamo a vincere la partita. A livelli professionistici, i tennisti non lavorano per migliorare i propri gesti tecnici (anche quello certo), ma in modo particolare si allenano per rendere meccanico il loro gesto, per riuscire a riprodurlo sempre nello stesso identico modo, nonostante cambino attorno a loro le condizioni. Ancora una volta, l'obiettivo è la totale abolizione della componente casuale, legata alla fortuna/sfortuna. Ma anche qui aggiungo e vi chiedo, i concetti di fortuna e sfortuna sono strutture mentali oppure presupposti concreti del nostro quotidiano? Quello che intendo dire è che se Woody ci mostra l'importanza che la fortuna riveste nelle nostre vite, possiamo dire con certezza che un concetto come quello della fortuna sia reale, tangibile? La negazione di un dogma non può comportare l'istituzione di un altro dogma e, in questo caso, la fortuna diventa per certi versi questo.

Tornando a novembre, ho sentito che è finito, forse dovrei smaltire anche questo vittimismo che mi attanaglia, non pensare insomma che sia stata la sfortuna, il caso, ma aprire le porte a dicembre, mettermi la sciarpa e cantare le canzoni.

Scritto da

Mario Roma

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