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di Mario Roma16/01/24
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Argan dice di Hopper: “è un realista senza ideologia, un primitivo senza falsi candori, la cui straordinaria forza di caratterizzazione e l’esasperata sensibilità dello squallore del mondo delle metropoli americane si traducono in narrazione figurativa di estrema efficacia”. Proprio da qui mi piacerebbe partire, per parlare di un artista che, piaccia o meno, ha influenzato 100 anni almeno di storia dell’arte e cultura pop, oserei dire. Sì, perché le opere di Hopper sono presenti ancora oggi nelle scelte scenografiche di registi quali Wim Wenders, Hitchcock, lo stesso Woody Allen, nei set fotografici di Gregory Crewdson e in altri innumerevoli lavori. 

Certo, Hopper è uno dei nomi che tutti ricordiamo non appena ci viene chiesto della pittura americana (forse insieme a Pollock e Warhol, perché noi di arte ne sappiamo), ma forse vale la pena, per una volta, soffermarsi realmente sull’opera, più che sulla comprensione immediata del suo significato. Quello che intendo è che penso valga la pena smetterla di chiedersi che cosa ci voglia dire l’arte e, in tal caso l’opera. Inoltre, questa gabbia fatta di solitudine, come sintomo delle metropoli americane, che la critica artistica gli ha costruito attorno, giustamente mi verrebbe da dire, considerando gli scritti e le lettere dell’autore, forse ci distoglie però dall’idea che l’opera è sempre un fatto a sé stante e che il senso espressivo più profondo dell’opera stessa fa appello alla personalità dell’artista, alla capacità cioè dell’artista di uscire in qualche modo da sé.

Ciò che intendo dire è che non sono così sicuro innanzitutto che la pittura di Hopper sia realista; credo che gli scenari reali hopperiani abbiano invece una forte valenza astratta, inafferrabile; non tende a rappresentare la realtà così com’è, quanto a soffermarsi piuttosto su alcuni aspetti per lui significativi, di quella realtà. Aldilà di ogni singolo dettaglio, semplice, apparentemente superficiale, si nasconde un’intenzione forse simbolica quantomeno da non sottovalutare. In secondo luogo, ritengo pure (non inventandomi niente, ma facendo ricorso al pensiero di altri, sia ben inteso) che l’alienazione degli individui in lavori come Nighthawk c’entri veramente poco, nulla direi, quanto piuttosto come meglio di me ha espresso Walter Wells: “Nighthawk è l’idea di Hopper di ciò che serve all’America. […] La scena così vividamente rappresentata è una vittoria, piccola ma fondamentale, un’azione di contenimento contro il vuoto”.

Scritto da

Mario Roma

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