Buongiorno, è venerdì 3 marzo, io sono Antonio Roma e questa è ‘Na tazzulella ‘e café, che dovrebbe somigliare ad una rassegna stampa settimanale, ma che poi, nel concreto, lo è stata solo nel 2022.
Nei paesi democratici quando un partito perde le elezioni di solito succedono delle cose…
A volte si dimette il capo del partito, responsabile della linea politica e delle scelte, quindi della campagna elettorale che ha portato alla sconfitta. A volte con lui si dimettono segreteria e comitato direttivo: chi lo ha aiutato a gestire il partito negli anni che hanno portato alla sconfitta elettorale.
Spesso, se non sempre, si apre un dibattito, ci si interroga e si discute non solo sulle cause della sconfitta elettorale, ma si mettono in piedi meccanismi di analisi al fine di evitare di perdere di nuovo in futuro. A volte, quando c’è uno scollamento dalla base o si perde molto male avvengono proteste, assemblee che si autoconvocano, candidature dal basso.
Ciò accade davvero ovunque e che anche in Italia in passato accadeva, ma non sta inspiegabilmente (o forse sì) accadendo in Italia.
Questo perché il Pd è un partito di pochi, per pochi, paralizzato da quei pochi che hanno potere decisionale e che hanno ricoperto non solo i ruoli più importanti all’interno del partito ma anche come ministri dei governi ai quali il Pd ha partecipato.
La sola cosa che abbiamo sentito è Letta dire che al prossimo congresso non si sarebbe ricandidato ma non c’è quel fermento capace di scuotere dalle fondamenta chi nel Pd prende le decisioni.
Non spetta alle persone che hanno causato la sconfitta elettorale risolvere la situazione, spetta alle molte meritevoli sensibilità dentro e fuori dal Pd le cui voci sono state ignorate e dimenticate.
La sensazione, surrogata dalla conferma alla Camera e al Senato di Serracchiani e Malpezzi, è che il gruppo dirigente del Pd non abbia alcuna intenzione di farsi da parte.
Come scrive Stefano Feltri su Domani: “Fuori dal Pd, però, c’è una grande energia nella sinistra italiana: c’è un fiorire di movimenti ambientalisti che propongono politiche radicali per costruire una società più equa e sostenibile; c’è un fermento cattolico che si interroga su disuguaglianze e su una guerra che è minaccia atomica alla civiltà; ci sono lotte di classe come quella della logistica presidiate solo da chi considera il Pd un avversario, come i sindacati di base. Ci sono gli expat, i cervelli italiani che vorrebbero impegnarsi ma trovano dirigenti novecenteschi poco interessati. E poi il grande tentativo sui diritti, che è il tentativo di affermare una possibilità individuale di autodeterminazione alternativa all’individualismo solitario delle destre. Anche a questo il Pd ha fatto solo promesse minime e non mantenute, dallo ius scholae alla legge Zan.
Il Pd si è contratto al punto da diventare come le province: con le risorse sufficienti soltanto a prorogare la propria esistenza al di là di ogni necessità, ma non a fare qualcosa di utile. Era un esperimento, non ha funzionato. Ma il Pd può ancora favorire la nascita di qualcosa di nuovo. Un vuoto generatore di altre formule, altri equilibri, nel quale chi dell’attuale stagione ha ancora voglia, idee e voti possa tornare protagonista per cambiare il paese.”
Sono convinto esista una Sinistra progressista, una Sinistra verde, credibile e coerente sui Diritti Civili e Umani, una Sinistra che abita il Pd nella moltitudine di voci che il gruppo Dirigente ha ignorato.
Oggi la situazione è cambiata, come titola Daniela Preziosi su Domani: “Boom Schlein, ribaltone del voto dei circoli, uno scossone al Pd”.
Io ho sostenuto la candidatura di Elly Schlein e l’ho fatto da non iscritto al Pd, l’ho fatto perché ho trovato nella proposta della Schlein molte delle fondamenta culturali e umane che contraddistinguono Educare alla Bellezza e la compagnia di Teatro Civile professionale della quale sono Direttore Artistico-Teatrale.
Se non è stata una rivoluzione, per il Pd la giornata di domenica è stata un cataclisma. Elly Schlein ha vinto le primarie ed è la nuova segretaria. La prima donna. In attesa di fuoriuscite, a braccia aperte, c’è il Terzo Polo e quel Matteo Renzi che fino all’ultimo giorno è stato oggetto degli attacchi di Schlein e i suoi contro la corrente Base riformista che ha sostenuto Bonaccini. Letta, segretario uscente, ha scritto che la scissione è solo “un gioco giornalistico che non ha elementi di realtà perché oggi abbiamo qui una grande idea di unità. Sono convinto che verrà portata avanti anche da chi vincerà le primarie”. Ma da chi le perde?
Ce verimm, stàteve buòno!