Logo Educare alla Bellezza
Logo TRaMe

Il 'dietro le quinte' della violenza di genere

di Giancarlo Stefanino23/11/23
Categoria: Tag: ,
Tempo di lettura 5 minuti

 

Sono giorni pieni di riflessioni, opinioni e puntualizzazioni che ruotano attorno al tema della violenza di genere. Le ultimissime storie di cronaca nera riflettono l’urgenza di una concreta comprensione e presa di responsabilità sull’argomento. Non mi dilungherò su chi possa avere torto o ragione tra le tante cose lette e ascoltate; altrimenti non sarebbe un testo costruttivo, ma soltanto l’ennesima opinione non richiesta. Tuttavia ho pensato molto in questi giorni, da operatore in un centro per uomini autori di violenza, da dove sia necessario porre le fondamenta per un'efficace comprensione del fenomeno a livello sociale e culturale. 

Mi chiedo: come possiamo pretendere di conoscere e saper riconoscere qualcosa fino in fondo se prima non scopriamo cosa c’è dietro?

La violenza, nell’atto compiuto, ci giunge come un’impronta secca e decisa; ma non basta per decifrarne l’essenza. Così, unendo più livelli di apprendimento, dal sociale al personale, fino al criminologico, sono quattro gli argomenti ‘nascosti’ dietro l’atto violento che non possono essere ignorati. 

 

  • La violenza di genere si manifesta in un ciclo e non soltanto nell’atto violento stesso.

Come evidenziato dal modello della psicologa Lenore Walker la violenza si distingue in un’escalation di comportamenti che vanno da iniziali minacce e abusi verbali fino alla violenza agita, di tipo fisico e/o sessuale. Questo è un meccanismo che agisce lentamente, motivo per cui spesso è difficile comprendere la realtà violenta con cui si convive. Diventa così necessario riconoscere questi livelli; possono essere individuate tre fasi.

Una prima fase di costruzione della tensione, interessata da violenza verbale o psicologica in cui la vittima, tentando di soddisfare i bisogni del partner, evita la sua arrabbiatura, arrivando a provare sentimenti di colpa su se stessa.

La seconda fase consiste nel maltrattamento attraverso l’esplosione della violenza; la donna prova paura e si sente incapace di agire e completamente impotente nel controllare l’escalation della violenza del partner.

L’ultima fase, definita luna di miele, è il momento successivo alla violenza; quello in cui il maltrattante, per ripulire la propria immagine prima si scusa per i suoi comportamenti 'sbagliati', poi chiede di essere perdonato promettendo cambiamenti; in questa fase è altamente probabile che il comportamento aggressivo venga giustificato scaricando la responsabilità a fattori esterni o addirittura alla donna, che in qualche modo avrebbe provocato. La vittima, di fronte a tutto ciò, spesso si convince di essere l’unica che può aiutarlo, illudendosi che la situazione possa cambiare, che è ancora tutto sotto controllo e che non succederà più.

Nelle relazioni violente, questo ciclo si ripete ininterrottamente crescendo d’intensità e pericolosità. 

 

  • Esistono dei segnali che indicano un rapporto violento o comunque tossico.

Una relazione violenta è probabile che presenti un disequilibrio di potere tra le parti; il partner violento mette in pratica tutta una serie di azioni volte a dominare e/o controllare l’altra persona.

  1. Delegittimare e denigrare il pensiero, ignorare le scelte e i successi, criticare le opinioni e il comportamento.
  2. Dipendenza affettiva patologica: il funzionamento della persona dipende esclusivamente dalla propria relazione affettiva.
  3. Eccessiva gelosia e possessività.
  4. Controllo sui beni materiali e sulle attività quotidiane.
  5. Vedere l’altro come un oggetto o proprietà prima che una persona.
  6. Intimidazioni di far male a se stesso o altri qualora venisse lasciato.
  7. Manipolazione e ricatto.

Tutti questi comportamenti vanno a ledere l’integrità fisica e mentale della vittima, nella quale può insorgere paura nel dire e fare, impotenza, sentimenti di inadeguatezza, convincimento di meritare tutto ciò.

 

  • La componente educativa gioca un ruolo fondamentale.

Quando si parla di educazione all’affettività è automatico il ruolo fondamentale della famiglia, poiché è nelle relazioni primarie che si definisce l’identità di una persona. La violenza di genere può derivare da esperienze violente vissute direttamente o indirettamente durante la giovane età in famiglia, ma altri fattori rispondono ad insegnamenti più profondi.

Il nucleo familiare, nel trasmettere i bisogni educativi, non può trascurare il tema dell’accettazione al fallimento, del senso di abbandono, della reciprocità affettiva e della promozione di una cultura del rispetto e della parità di genere. Non è sufficiente crescere i propri i figli con l’idea del ‘non ti faccio mai mancare nulla’ perché senza la sensibilizzazione costante su questi argomenti è probabile una mancanza che va oltre qualsiasi materialismo: un vuoto affettivo, poco visibile ma evidente. 

L'educazione è certamente decisiva, ma non l’unica forza in gioco. In ogni caso, se è nella famiglia che si delinea un’identità psichica, la prerogativa sociale è quella di preparare i potenziali genitori a educare i figli al rapporto funzionale con il prossimo e la realtà circostante; in questo modo, è auspicabile che la famiglia possa riconoscere e saper gestire potenziali situazioni violente che coinvolgono il proprio figlio sia come vittima, sia come carnefice. 

 

  • Aspetti criminologici della violenza di genere 

Come suggerisce il professore Ferrando Mantovani in uno dei suoi scritti, la violenza di genere è un fattore di vittimizzazione della donna perché perpetrata nel contesto di un rapporto intersoggettivo tra autore e vittima; all’interno di questa chiave di lettura, il motivo per cui questi reati vengono perpetrati può essere associato alla passività della donna, causata dai persistenti rapporti con l’autore.

Dal punto di vista criminologico, la violenza di genere appare innanzitutto un fenomeno globale e che per dati statistici interessa tutto il mondo. In secondo luogo, questo reato raramente è ascrivibile ad un gesto d’impeto ma più frequentemente intercorre un consistente distacco temporale tra il sorgere dell’idea criminosa e la sua esecuzione, se non un vero e proprio dolo premeditato nei casi più tragici, quali i femminicidi. Nei reati più gravi infatti, l’omicidio è solo il culmine di comportamenti meno gravi reiterati nel tempo: violenza sessuale, atti persecutori, lesioni; risulta necessario dunque attivare interventi di supporto, recupero e assistenza già durante la comparsa di questi primi campanelli d’allarme. 

La violenza di genere appare sempre in un contesto di disparità tra uomo e donna. Questa disparità può sorgere di conseguenza alla fine della relazione affettiva, come 'vendetta' verso la non accettata rottura; peggio ancora, e nella maggior parte dei casi, la disparità è intrinseca alla relazione in atto, basata sull’inaccettabilità che la figura femminile possa aspirare ad avere un’indipendenza sul piano economico, sociale e lavorativo. 

Infine, è interessante notare come, dal punto di vista psichiatrico, gli autori di reati di genere sono normalmente soggetti capaci di intendere e di volere, quindi imputabili, e perciò punibili.

 

 

 

 

La violenza di genere è un fenomeno strutturale ben definito nella nostra società e ben radicato culturalmente. 

Ce lo indicano meramente i dati statistici, che evito di elencare poiché più volte ribaditi negli ultimi giorni, ma che non lasciano spazio ad alcuna interpretazione. 

Ce lo indicano gli esperti del settore sociale, privi di alcun interesse politico o strumentale, che accolgono ogni giorno sempre più persone incapaci di gestire situazioni conflittuali in una relazione affettiva. 

Ce lo indicano tutte quegli individui maltrattanti e/o maltrattate che ignorano, per innocenza o per volontà, l’esistenza di un problema, come se l’anormalità diventasse, per una legge affettiva non scritta, qualcosa di normale.

Quindi sì: sono giorni di riflessioni, giustamente. Il fenomeno della violenza di genere comprende le forme di violenze commesse sulla donna dall’uomo in quanto “donna”, ma anche quelle sociali, economiche e istituzionali volte alla denigrazione fisica e psicologica, che non per forza hanno come esito finale la morte. Soltanto sforzandoci di vedere e comprendere tutto il complesso meccanismo dietro l'atto violento possiamo riconoscerci un ruolo attivo verso l'auspicato cambiamento personale e collettivo. 

Scritto da

Giancarlo Stefanino

Altri articoli di Giancarlo Stefanino

#EdaB

Copyright © 2024 - Tutti i diritti sono riservati

crossmenu linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram