Uno dei fattori di rischio psicosociali nei luoghi di lavoro è il fenomeno del burnout. Descritto per la prima volta da Kraeplin ad inizio novecento nel settore psichiatrico e successivamente in ambito sportivo, il burnout fu considerato soltanto dal 1974 in veri e propri studi condotti nel contesto sociosanitario. Dal 2019 l’OMS ha riconosciuto il fenomeno a tutti gli effetti come sindrome psicologica, derivante da una condizione di stress cronico, persistente e mal gestito, riferito esclusivamente al contesto lavorativo. La sindrome dunque non è una malattia e colpisce generalmente le helping professions, quelle professioni relative all’area socio-sanitaria che prevedono il contatto diretto e prolungato con altri esseri umani. In letteratura è possibile ritrovare due differenti orientamenti di studio che identificano il fenomeno.
Il primo approccio si focalizza sui sintomi del burnout, considerato come la manifestazione di un disagio espresso in tre principali caratteristiche:
Il secondo orientamento concepisce il burnout come un fenomeno suddiviso in varie fasi, un continuum psicopatologico che si snoda lungo un asse che da una condizione di stress ‘positivo’ (per esempio l’aspettativa di successo e/o miglioramento del proprio status) porta all’insorgenza di condizioni disadattive (chiusura in se stessi, apatia).
Le ricerche più recenti hanno dimostrato come sia fattori individuali che fattori organizzativi intervengano nella genesi della sindrome.
Come visto precedentemente il burnout non si manifesta quasi mai in modo improvviso, ma è il risultato di un processo graduale che si sviluppa nel tempo. Se vi è un intervento tempestivo con un'adeguata assistenza medica o psicologica, si evita di innescare una situazione più difficile da gestire. La risoluzione del burnout prevede un approccio integrato a livello organizzativo, sociale e individuale.
Dal punto di vista organizzativo è necessaria un’analisi basata sugli stili di management, il funzionamento dei gruppi lavoro e le caratteristiche del clima relazionale. Per quanto riguarda il piano sociale, gli interventi dovrebbero essere indirizzati verso un rafforzamento del sostegno sociale e della coesione di gruppo, poiché i due elementi insieme svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione del disagio. A livello individuale una prima linea di prevenzione richiede una revisione dei sistemi di reclutamento e inserimento lavorativo, basata su un’accurata analisi delle motivazioni e caratteristiche personali. Una volta inserita nell’organizzazione, dovrebbero essere predisposti una supervisione al potenziamento delle risorse personali e un programma di assistenza in grado di sviluppare motivazione, autostima e competenza.
La sindrome da burnout è indubbiamente una situazione di forte disagio per il soggetto e può comportare diverse conseguenze nella vita quotidiana dell'azienda. Gli effetti negativi del burnout si ripercuotono a livello personale in manifestazioni quali la somatizzazione, la dispersione di energie e la svalutazione delle proprie capacità; a livello interpersonale viene coinvolta anche l'utenza, a cui viene offerto un servizio non adeguato mentre a livello organizzativo viene compromessa la qualità della prestazione, associata a assenteismo, turnover, assenze per malattia e abbandono lavorativo.
Inizialmente, la sindrome del burnout è stata correlata alle professioni sanitarie e assistenziali che prevedono un contatto con le persone o con mansioni di difesa, di sicurezza pubblica e di gestione delle emergenze. In realtà il burnout può interessare ogni operatore che è in contatto con le persone, in cui esistano forti condizioni stressanti e di coinvolgimento emotivo. Numerose ricerche hanno dimostrato come in alcuni ambiti professionali si verifichi una prevalenza della manifestazione della sindrome, questi sono: area medica della salute mentale e fisica, area dei servizi sociali, area dei servizi pubblici e ambiente detentivo.
L’intervento psicoterapeutico appare lo strumento migliore per migliorare la prognosi del burnout, poiché tiene conto della complessità della patologia e della specificità del soggetto. Il percorso psicoterapeutico è finalizzato a fornire al paziente informazioni chiare sul proprio disturbo per aiutarlo a gestire la sintomatologia. L'obiettivo in tale situazione è quello di favorire un recupero della consapevolezza rispetto alle emozioni che si stanno vivendo, ai processi in cui si è inseriti ed ai processi che si vogliono attivare. Tutto ciò consente di riconoscere i propri bisogni prendendosene cura, ripristinare le funzioni principali e di avere maggiore potere sulle dinamiche del contesto lavorativo in cui si opera affinché emerga una diversa competenza e nuove risorse nella gestione dello stesso contesto.