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La sindrome da burnout: una psico-trappola lavorativa

di Giancarlo Stefanino15/05/23
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Tempo di lettura 4 minuti

 

Uno dei fattori di rischio psicosociali nei luoghi di lavoro è il fenomeno del burnout. Descritto per la prima volta da Kraeplin ad inizio novecento nel settore psichiatrico e successivamente in ambito sportivo, il burnout fu considerato soltanto dal 1974 in veri e propri studi condotti nel contesto sociosanitario. Dal 2019 l’OMS ha riconosciuto il fenomeno a tutti gli effetti come sindrome psicologica, derivante da una condizione di stress cronico, persistente e mal gestito, riferito esclusivamente al contesto lavorativo. La sindrome dunque non è una malattia e colpisce generalmente le helping professions, quelle professioni relative all’area socio-sanitaria che prevedono il contatto diretto e prolungato con altri esseri umani. In letteratura è possibile ritrovare due differenti orientamenti di studio che identificano il fenomeno. 

Il primo approccio si focalizza sui sintomi del burnout, considerato come la manifestazione di un disagio espresso in tre principali caratteristiche:

  • l’esaurimento emotivo, espresso nella sensazione continua di essere in uno stato di tensione, che porta i lavoratori a percepirsi come incapaci di trovare un equilibrio psicologico e di autoregolarsi.
  • la depersonalizzazione, che rappresenta il distacco, la negatività e l’indifferenza dell’operatore nei confronti delle persone che ricevono il servizio, ma anche verso se stessi. 
  • la ridotta realizzazione professionale e personale, cioè la sensazione di possedere insufficienti competenze per affrontare il proprio lavoro.

Il secondo orientamento concepisce il burnout come un fenomeno suddiviso in varie fasi, un continuum psicopatologico che si snoda lungo un asse che da una condizione di stress ‘positivo’ (per esempio l’aspettativa di successo e/o miglioramento del proprio status) porta all’insorgenza di condizioni disadattive (chiusura in se stessi, apatia). 

 

Le cause di insorgenza del burnout

Le ricerche più recenti hanno dimostrato come sia fattori individuali che fattori organizzativi intervengano nella genesi della sindrome.

  • Fattori individuali. I modelli interpretativi dinamici riconducono il fenomeno sul piano individuale. Le persone infatti rispondono diversamente di fronte alle situazioni lavorative stressanti; ciò sarebbe relativo alle caratteristiche di personalità, ai valori, alla motivazione, agli stili di vita e alle caratteristiche di resilienza e di vulnerabilità. 
  • Fattori organizzativi. Elementi socio ambientali e lavorativi non favorevoli possono avere un impatto negativo sul benessere della persona. Fanno riferimento a questi fattori i modelli interpretativi basati sulla competenza e sull'efficacia, per cui fondamentale nell’insorgenza del burnout sarebbe la percezione della propria capacità di intervento sull’ambiente. Le tre aree organizzative di rilievo sono riassumibili in:
  1.  Ruolo lavorativo svolto, nell’ottica di quanto effettivamente la mansione ricoperta si adatti alle competenze e valori dell’operatore.
  2.  Struttura di potere, per cui più una struttura è gerarchica più tende a ridurre la libertà di espressione e la possibilità di controllo lavorativo.
  3.  Clima relazionale, ovvero la qualità dei rapporti all’interno del gruppo lavoro incide sulla capacità di affrontare situazioni di disagio e stress.

 

Strategie di intervento 

Come visto precedentemente il burnout non si manifesta quasi mai in modo improvviso, ma è il risultato di un processo graduale che si sviluppa nel tempo. Se vi è un intervento tempestivo con un'adeguata assistenza medica o psicologica, si evita di innescare una situazione più difficile da gestire. La risoluzione del burnout prevede un approccio integrato a livello organizzativo, sociale e individuale. 

Dal punto di vista organizzativo è necessaria un’analisi basata sugli stili di management, il funzionamento dei gruppi lavoro e le caratteristiche del clima relazionale. Per quanto riguarda il piano sociale, gli interventi dovrebbero essere indirizzati verso un rafforzamento del sostegno sociale e della coesione di gruppo, poiché i due elementi insieme svolgono un ruolo fondamentale nella prevenzione del disagio. A livello individuale una prima linea di prevenzione richiede una revisione dei sistemi di reclutamento e inserimento lavorativo, basata su un’accurata analisi delle motivazioni e caratteristiche personali. Una volta inserita nell’organizzazione, dovrebbero essere predisposti una supervisione al potenziamento delle risorse personali e un programma di assistenza in grado di sviluppare motivazione, autostima e competenza. 

 

 

Una riflessione sulle conseguenze del burnout 

La sindrome da burnout è indubbiamente una situazione di forte disagio per il soggetto e può comportare diverse conseguenze nella vita quotidiana dell'azienda. Gli effetti negativi del burnout si ripercuotono a livello personale in manifestazioni quali la somatizzazione, la dispersione di energie e la svalutazione delle proprie capacità; a livello interpersonale viene coinvolta anche l'utenza, a cui viene offerto un servizio non adeguato mentre a livello organizzativo viene compromessa la qualità della prestazione, associata a assenteismo, turnover, assenze per malattia e abbandono lavorativo.

Inizialmente, la sindrome del burnout è stata correlata alle professioni sanitarie e assistenziali che prevedono un contatto con le persone o con mansioni di difesa, di sicurezza pubblica e di gestione delle emergenze. In realtà il burnout può interessare ogni operatore che è in contatto con le persone, in cui esistano forti condizioni stressanti e di coinvolgimento emotivo. Numerose ricerche hanno dimostrato come in alcuni ambiti professionali si verifichi una prevalenza della manifestazione della sindrome, questi sono: area medica della salute mentale e fisica, area dei servizi sociali, area dei servizi pubblici e ambiente detentivo. 

L’intervento psicoterapeutico appare lo strumento migliore per migliorare la prognosi del burnout, poiché tiene conto della complessità della patologia e della specificità del soggetto. Il percorso psicoterapeutico è finalizzato a fornire al paziente informazioni chiare sul proprio disturbo per aiutarlo a gestire la sintomatologia. L'obiettivo in tale situazione è quello di favorire un recupero della consapevolezza rispetto alle emozioni che si stanno vivendo, ai processi in cui si è inseriti ed ai processi che si vogliono attivare. Tutto ciò consente di riconoscere i propri bisogni prendendosene cura, ripristinare le funzioni principali e di avere maggiore potere sulle dinamiche del contesto lavorativo in cui si opera affinché emerga una diversa competenza e nuove risorse nella gestione dello stesso contesto.

Scritto da

Giancarlo Stefanino

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