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Storie, generazioni e ipocrisie...Mondiali!

di Francesco Di Donna07/12/22
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Tempo di lettura 8 minuti

Tutto ha inizio nel lontano 1930.
La comunità internazionale deve ancora scrollarsi di dosso la tensione e i caduti della Prima Guerra Mondiale; deve ancora rendersi conto degli effetti della crisi economica scoppiata un anno prima; deve ancora pesare le nuove derive totalitarie.
In un clima nervoso e scettico, viene avanzata una proposta affascinante: il Campionato Mondiale di calcio, una competizione internazionale per rinsaldare legami e leadership, per dimenticare liti, guerre e colonie, all’insegna del pallone.

Quel pallone la cui struttura viene perfezionata mondiale dopo mondiale e che negli anni diventerà strumento di divertimento totalizzante, in grado di avvicinare popoli e culture, colori e bandiere.
In grado di diventare sogno preferito di molti adolescenti.
In grado di veicolare le sue terminologie specifiche sino a farle entrare nel volgo comune.
In grado di diventare ancora di salvezza, in certi casi.

Nel 1930, il primo mondiale di calcio si disputa in Uruguay con 13 squadre partecipanti, vinto dai padroni di casa, al termine di una finale tutta sudamericana, strappata in rimonta ai cugini argentini.
Le edizioni successive hanno in serbo le prime polemiche: l’Uruguay non vuole prendere parte a Italia 1934 per il numero più alto di nazionali partecipanti rispetto alla sua prima edizione e le designazioni arbitrali sembrano manipolate dal Duce; Uruguay e Argentina non si presentano neanche a Francia 1938, in cui la nazionale austriaca si qualifica alla fase finale ma dopo l’Anschluss tedesca non può continuare il suo percorso e le squadre restano dispari.
La geopolitica prova a guastare la festa, ma gli annali registrano la doppietta italiana, prima nazionale a vincere due competizioni consecutive e prima a vincere in terra straniera.

Poi lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale: l’enfasi calcistica svanisce in fretta, l’orgoglio patriottico no.
Due competizioni saltano, quella del 1942 e quella del 1946.
La geopolitica si impone, e questa volta vince.
Si rientra in campo nel 1950 e si ritorna in Sud America, in Brasile. Un nuovo inizio.
Per la prima volta partecipa anche l’Inghilterra, che precedentemente si era rifiutata di affrontare partite di calcio contro nazionali rivali in politica.
Una scelta coerente, che ora lascia il posto alla superiorità tecnica e tattica rivendicata dagli inglesi, padri del football moderno.
La finale però è ancora tutta sudamericana: l’Uruguay vince, a sorpresa, sulla squadra di casa. Decine di infarti al fischio finale, due tifosi brasiliani si gettano dalle tribune: il Maracanazo (la sconfitta contro ogni pronostico, maturata nello stadio Maracanà) evoca i ricordi più tristi e sconfortanti legati al calcio giocato e dimostra, per la prima volta, come questo sport riesca ad entrare nella cultura di una popolazione, nelle sue costruzioni sociali, addirittura nelle sue speranze.

E nei suoi nuovi media.
Infatti Svizzera 1954 è la prima edizione trasmessa in televisione, in cui si vede in diretta la vittoria finale della Germania Ovest, quella al di qua del Muro, capace di rimontare due reti di svantaggio sulla favorita Ungheria e di aggiudicarsi il titolo.
E una polemica per doping, motivata dall’epatite che colpisce tutti i giocatori tedeschi qualche mese dopo.
Svezia 58 consacra il talento di Pelè, che porta il Brasile sul tetto del mondo.
E così si susseguono le altre edizioni, in una continua melina tra continente americano ed europeo, con relazioni internazionali qui calme, qui mosse, a sedere in tribuna e a godersi lo spettacolo.
E a preparare le reazioni, da scatenare il giorno dopo.

Come nel caso di Messico 1970, ricordata non solo per la partita del secolo, la storica semifinale tra Italia e Germania Ovest terminata 4-3 per gli azzurri, ma anche per l’aggravarsi delle tensioni tra Honduras ed El Salvador per le relative dispute territoriali, che sfociano in un conflitto armato di quattro giorni, passato alla storia come la guerra del calcio, scoppiato l’indomani del confronto calcistico tra le due nazionali.
Sportivamente parlando, invece, sono gli anni del calcio totale degli olandesi Jeck Raynolds, Rinus Michels e il centravanti Johan Cruijff, fulcro della tattica degli Orange.

La finale di Spagna 82 regala all’Italia il terzo titolo mondiale, trascinata da Paolo Pablito Rossi.
Messico 86 incorona Maradona e la sua doppietta contro l’Inghilterra: la prima rete segnata con l’ausilio della cosiddetta mano de Dio; la seconda è un autentico capolavoro, chiamato poi il “Gol del Secolo”, con l’indimenticabile discesa del pibe de oro da centrocampo, dribblando cinque avversari e mettendo a sedere anche il portiere.

Arrivano poi le Notti Magiche di Italia ’90, che per gli Azzurri termineranno in semifinale contro l’Argentina dopo i calci di rigore, con Totò Schillaci premiato miglior marcatore del torneo, scarpa d’oro.
Poi USA 94 e le sue tensioni: la nazionale jugoslava viene esclusa poiché sanzionata dall’ONU per la guerra in Bosnia; il genio di Maradona non può far sognare i suoi tifosi perché l’argentino risulta positivo per efredina in un controllo antidoping;  il difensore colombiano Andrès Escobar viene assassinato pochi giorni dopo un suo sciagurato autogol che vale l’eliminazione della sua nazionale; Roberto divin codino Baggio sbaglia il rigore che consegna il titolo al Brasile.
Francia 98 vede il tripudio della nazionale casalinga guidata dalla fantasia di Zinedine Zidane.

Corea del sud - Giappone 2002 è la prima edizione nel continente asiatico; Sudafrica 2010 è la prima nel continente nero; nel mezzo, la quarta vittoria azzurra del 2006 a Berlino, ancora viva nei ricordi: dalla testata di Zidane (meno fantasista di prima) contro il difensore Marco Materazzi al rigore decisivo del terzino Fabio Grosso.
Successo giunto l’indomani dello scoppio dello scandalo di Calciopoli, rievocato proprio in questi giorni da un’altra vicenda fatta di illeciti che oscura il calcio giocato, gettandolo nel baratro dell'illegalità.
Brasile 2014 riporta a sessantaquattro anni prima, quando il tragico Maracanazo  ha rattristato il Paese e ha portato alla proclamazione di lutto nazionale per tre giorni: stavolta il Brasile favorito perde la semifinale contro la Germania dei vari Klose, Muller, Gotze, subendo lo score peggiore della sua storia (1-7).
Mineirazo è il nome con cui i media locali raccontano la nuova disfatta verdeoro e deriva dallo stadio in cui si è consumata, il Mineirao di Belo Horizonte.
La preparazione di questa edizione è passata anche da un maxi blitz della polizia alla Rocinha nella favelas di Rio, roccaforte del traffico di droga carioca: “la massiccia operazione militare - sono stati impiegati tremila uomini, tra poliziotti e soldati, oltre a 18 mezzi blindati della marina e a sette elicotteri da combattimento - era stata annunciata con largo anticipo, per consentire ai banditi di arrendersi senza opporre resistenza e agli altri residenti di chiudersi in casa per ragioni di sicurezza”, e ai molti arresti si aggiungeranno le fughe di altrettanti latitanti.

Si arriva così alla penultima edizione, Russia 2018, in cui viene utilizzato per la prima volta il VAR (la famosa “moviola in campo”) per supportare le scelte arbitrali ed evitare infinite polemiche. Che continuano ugualmente.
Non solo calcistiche, perché alcune inchieste hanno messo in luce le condizioni di schiavitù di alcuni operai, soprattutto nordcoreani (di cui quattro morti), impiegati nella costruzione dello stadio di San Pietroburgo, poi diventato tempio dello Zenit, il club di proprietà della compagnia petrolifera statale russa Gazprom.
Alcuni dossier sul tema realizzati da organizzazioni umanitarie sono arrivati al tavolo della FIFA, senza conseguenze rilevanti: la Federazione era già impegnata a creare un baluardo di difesa per l’allora presidente Joseph Blatter, su cui aleggiava lo spettro della corruzione sistemica.

Tornando al calcio giocato, la finale vede contrapporsi alla Francia, tra le favorite sin dall’inizio, la Croazia, mina vagante del torneo.
I francesi schierano Lloris, Pavard, Giroud, Griezmann, Varane con i loro cognomi che non traggono in inganno sulle origini transalpine, affiancati alle altre pedine dello scacchiere tattico Umtiti, Mbappè, Pogba, Kantè, Matuidi ed Hernandez, i cui cognomi raccontano un’origine più lontana – Camerun, Algeria, Guinea, Angola, Mali (e Spagna) sono i Paesi di provenienza di mezza squadra francese.
La formazione croata risponde con Subasic, Vrsaljko, Lovren, Vida, Strinic, Brozovic, Rakitic, Rebic, Modric, Perisic e Mandzukic, i cui cognomi rispondono chiaramente al blocco balcanico e ai suoi mille intrecci.
I conflitti dei Paesi africani e la guerra nella ex Jugoslavia hanno condizionato anche l’infanzia dei talenti in campo.
Quali storie si celano dietro ai loro dribbling? Quanto hanno viaggiato? Da chi sono scappati? Da quale cultura sono stati respinti o assorbiti? Che ruolo ha avuto quel pallone nelle loro giornate? Come ha plasmato i loro sogni? Li ha salvati davvero?
Il pallone diventa ancora di salvezza, in certi casi.
Eccoli lì, in mezzo al campo, a giocare la partita più importante della loro carriera.
Alla fine, sul tetto del mondo sale la Francia, con un netto 4-2, ma la Croazia rende orgogliosa la sua gente con il secondo posto più bello di sempre.

Dal 24 febbraio del corrente anno, è in corso la guerra tra Russia e Ucraina ma i centomila morti (stime approssimative) non frenano la schizofrenia contemporanea.
Non è la prima volta che si disputa una competizione internazionale durante una guerra, lo sappiamo.
Ma questa, a differenza di altre, ci viene raccontata tutti i giorni.
La ventiduesima edizione del torneo è ora in corso e per la prima volta in un Paese musulmano, il Qatar: la nazionale russa non è stata ammessa; quella ucraina non si è qualificata ma ha recentemente chiesto alla FIFA l’estromissione della nazionale dell’Iran, reo di aver fornito armi alla Russia, tra cui droni kamikaze.
Richiesta respinta.

L’emirato del Medio Oriente è noto per la sua arretratezza culturale e la sua incredibile disponibilità di capitali; incrociando queste due variabili, il risultato sul diagramma delle valutazioni oggettive è tragico: “i Mondiali in Qatar sono stati contestati fin dal giorno della loro assegnazione, definita «un errore» persino da Joseph Blatter, l’ex presidente della FIFA che la proclamò dodici anni fa. Le critiche e le denunce mosse in questi anni riguardano tutti i livelli della manifestazione, ma sono le questioni legate ai diritti delle minoranze e dei lavoratori ad averne attirate di più. Da anni giornali e organizzazioni non governative parlano di centinaia, se non addirittura di migliaia di operai morti, la maggior parte dei quali provenienti da India, Bangladesh, Sri Lanka e Nepal”.
Si parla di circa 6500 morti durante la costruzione degli impianti del torneo, ma le stime ufficiali sono ampiamente ritoccate al ribasso.
La parentesi sui diritti umani non incoraggia: l’omosessualità è illegale e ritenuta malattia mentale, e come si legge su Today.it “un recente rapporto di Human Rights Watch (contestato dal governo) afferma che le forze di sicurezza del Qatar continuano ad arrestare cittadini gay, lesbiche e transgender, costringendoli, a volte, a sottoporsi a una terapia di conversione. Medioevo”.
L’attuale presidente FIFA Gianni Infantino ha aperto le danze con un sonante “le critiche al mondiale sono ipocrite”, frase corredata da altre argomentazioni surrealistiche, o perlomeno opinabili.

Milioni di telespettatori e tifosi di tutto il mondo sono incollati alla TV o in fermento negli stadi per vedere i gol dei loro giocatori del cuore.
Calciatori che, almeno a parole, diventano sempre più portatori e simboli di ideali rinnovati di educazione, rispetto, pace e diritti. Se la FIFA lo permette *.
Il calcio è diventato mediaticamente totalizzante, con i suoi scandali e le sue cifre pazze, ma resiste in buona parte dell’immaginario collettivo come fattore unificante di una nazione.
Uno strumento potente per plasmare le nuovi generazioni, oltre tutti i confini.
Ma attenzione: tutto il mondo è paese! E viceversa.
Frodi fiscali, investimenti e finanziamenti illeciti, riciclaggio, curve piene di criminali, contratti e stipendi immorali, diritti calpestati e sacrificati per convergenze economiche, esami farsa di lingua per ottenere la cittadinanza e agevolare il tesseramento, calcio scommesse: è questo il mondo del calcio da narrare alle nuove generazioni?
Le critiche vengono condannate come ipocrisie e il mezzo giudicante è l’ipocrisia stessa: Kant spostati, ma prima crossa, che rovescio, e poi investo nei diritti TV.
“Il calcio deve restare fuori dalla politica; la politica deve restare fuori dal calcio”.
Nel metaverso, forse.

* intanto i Mondiali sono cominciati e si è visto qualche atto di ribellione, nonostante i divieti della FIFA (come quello di usare la fascia da Capitano color arcobaleno "per evitare sanzioni"): i giocatori tedeschi sono scesi in campo con la mano sulla bocca, in segno di protesta contro le repressioni qatarine; la nazionale iraniana non ha cantato l’inno nella prima partita, in aperto dissenso con il regime di casa, che nel frattempo ha arrestato un ex calciatore (entrambe hanno perso la prima gara del torneo e non si sono qualificate alla fase finale, ma si apprezza il tentativo).

Scritto da

Francesco Di Donna

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