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The Green Book: tra discriminazione e speranza

di Alessandra Dondi06/02/23
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Tempo di lettura 6 minuti

Attenzione: l'articolo contiene spoiler del film!

New York, 1962: Tony Vallelonga, un buttafuori italoamericano dal carattere poco mite, deve trovare un lavoro di ripiego per mantenere moglie e figli mentre il nightclub per cui lavora è chiuso per ristrutturazione.

Tony rappresenta l’italoamericano medio dell’epoca: poco istruito ma dedito alla famiglia e incline al razzismo, tanto da buttare i bicchieri di vetro da cui si erano dissetati i due idraulici neri chiamati dalla moglie per sistemare il lavello (con tanto di commenti razzisti da parte dei familiari presenti nel salotto di casa che arrivano a definirli direttamente “scimmie”).

Presto viene contattato da un “dottore”, Don Shirley, che a sua duplice sorpresa, è un benestante musicista nero che necessita di un autista per una tournée nel Sud degli Stati Uniti in cui era ancora in vigore la segregazione razziale.

Tony: Mi aspettavo di ritrovarmi in uno studio… Mi hanno detto che un medico cercava un autista.
Don: Le hanno detto solo questo?
Tony: Sì.
Don: In realtà è un po’ più complicato di così. […] Innanzitutto non sono un medico, sono un musicista. Sto per partire per una tournée di concerti che si svolgeranno in gran parte al sud.
Tony: Atlantic City!
Don: No, nel profondo sud.

È chiaro che Tony accetta l’incarico solo per la prospettiva di buoni guadagni.

La casa discografica di Don gli impone il rispetto assoluto delle scadenze dei concerti e gli consegna una copia del Green Book, una guida annuale per viaggiatori afroamericani*.

Il rapporto tra i due uomini è problematico: Don è una persona colta che Tony considera altezzosa, mentre la sgarbatezza di Tony lo rende burbero agli occhi del musicista.

Il colore della pelle di Don lo rende un bersaglio facile e più volte Tony deve intervenire per difenderlo. Una piovosa sera, mentre i due sono in viaggio per raggiungere la tappa successiva del tour, vengono fermati da una volante: i poliziotti chiedono i documenti a Tony e obbligano Don a scendere dalla vettura, chiedendogli chi fosse. Il sole era ormai tramontato e per i neri vigeva il coprifuoco.

Poliziotto: perché lo sta trasportando?
Tony: è il mio capo.
Poliziotto: non può circolare di notte [in riferimento a Don Shirley]. Qui c’è la segregazione.
Tony: che cos’è [la segregazione]?
Poliziotto: [ignorando Tony e rivolgendosi al collega] Fallo scendere dall’auto e controlla il documento.
[rivolto a Tony] come si pronuncia il suo cognome?
Tony: “Vallelonga”.
Poliziotto: che razza di cognome è?
Tony: è italiano.
Poliziotto: Ah, certo! Ecco perché si fa portare in giro da te: sei un mezzo ne*ro anche tu!

Tony, vittima di razzismo, aggredisce il poliziotto condannando entrambi al carcere ma Shirley – innocente – riesce a mettersi in contatto con Robert Kennedy che ordina il loro rilascio.

Dopo questa vicenda, Don confessa a Tony tutto il suo dolore: non riuscirà mai a integrarsi pienamente nella comunità bianca americana, ma anche quella afroamericana lo rifiuta perché non suona la loro musica e quindi sarà sempre costretto a vivere al margine di questi due mondi.

Don: Conoscere Little Richard ti rende più nero di me? Sai, Tony, dovresti ascoltarti ogni tanto, non parleresti così almeno.
Tony: Minchiate! So perfettamente chi sono io. Sono l'uomo che ha vissuto nello stesso quartiere per una vita, con mia madre, mio padre, mio fratello e adesso con moglie e figli. Questo è: ecco chi sono io! Sono lo stronzo che deve sgobbare ogni cazzo giorno per mettere il cibo in tavola. Tu, signor maestà, vivi sulla cima di un castello, tu viaggi per il mondo a fare concerti per ricconi. Io vivo per strada, non sto seduto su un trono. Quindi, sì, il mio mondo è molto più nero del tuo, hai capito?
Don: Sì, vivo in un castello, Tony. Da solo! E i ricchi bianchi mi pagano per suonare il piano solo per sentirsi colti. Ma una volta sceso dal palco, torno ad essere un ne*ro come tutti gli altri per loro. Perché questa è la loro cultura. La mia gente mi evita, facendomi sprofondare nella solitudine perché io non gli somiglio! E se non sono abbastanza nero e non sono abbastanza bianco, e non sono abbastanza uomo, dimmelo tu Tony, cosa sono?!

Il vero punto di svolta nella relazione tra i due uomini avviene la sera dell’ultimo concerto: quando a Don viene vietato di cenare nella sala in cui si sarebbe dovuto esibire, Tony prende le difese del capo invitandolo a boicottare l’evento. È così che i due alla fine creano un profondo legame di amicizia che supera i pregiudizi reciproci iniziali.

Guardando il film viene da chiedersi allora cosa sia la "razza". È uno status ascritto o acquisito? Pensiamo al caso degli italiani che sono diventati bianchi con il progresso delle società..

Ormai la comunità scientifica è concorde sulla tesi del monogenismo, ovvero l'origine unica dell'essere umano. Di conseguenza, non esistono "razze umane", piuttosto etnie o popolazioni caratterizzate da tratti peculiari. Eppure è ancora molto frequente sentire parlare di "razza" applicata agli uomini, spesso con una connotazione negativa. Si tratta di razzismo, un fenomeno ancora troppo diffuso in Italia (e non solo) e difficile da eradicare poichè soggetto a evoluzioni che lo rendono perfino difficile da individuare.

La prima forma di razzismo - quella tradizionale - è il razzismo scientifico/classico che nasce con l'Illuminismo. Prevede la classificazione gerarchica dell’uomo sulla base delle proprie caratteristiche fisiche ed è stato rafforzato dal colonialismo come legittimazione delle invasioni europee. Da qui le classificazioni in "bianchi", "gialli" e "neri". La sua prima evoluzione è rappresentata dal razzismo ordinario/popolare, cioè quello che si incontra nella vita di tutti i giorni: è il sentirsi superiore all’altro per il semplice fatto di appartenere a una nazionalità diversa, di essere bianchi. Spesso rappresenta una forma di vittimismo per mascherare il proprio senso di fallimento. Dopo il nazi-fascismo, il razzismo scientifico non era più sostenibile; si è sviluppata allora una ulteriore forma di razzismo che ha abbandonato il concetto di razza per enfatizzare la triade identità-cultura-territorio: è il razzismo differenzialista che attualmente pervade una certa visione politica. Tale forma di razzismo applicata all’Europa significa che dobbiamo proteggerci dall’invasione degli immigrati per salvaguardare la nostra cultura e la nostra identità. Si tratta di un approccio essenzialista, ovvero che considera la cultura come qualcosa di immutabile. Da qui gli atteggiamenti di mixofobia (orrore per unioni miste perché comportano la mescolanza della propria cultura). Questo spiega perché fino a poco tempo fa alcuni politici parlavano di “sostituzione etnica”.

Ma è davvero così?
L’apice delle migrazioni in Italia si è registrato quando gli Stati dell’Europa settentrionale hanno iniziato a chiudere i propri confini. I flussi sono poi aumentati con la riunificazione della Germania e il successivo crollo dell’URSS.

Dal 2010 i tassi di immigrazione in Italia si sono stabilizzati: gli immigrati regolari residenti in Italia al 1° gennaio 2021 erano circa 5.2 milioni di persone (ISTAT), mentre l’immigrazione irregolare era leggermente aumentata del +0.3% rispetto all’anno precedente (ISMU). Come è chiaro, non stiamo andando incontro a una “sostituzione etnica”, anche perché le stime relative al tasso di emigrazione degli italiani si aggirano attorno ai 5.8 milioni (questi sono solo quelli che si sono registrati all’AIRE).

Dovremmo iniziare a considerare gli immigrati come delle risorse e non solamente come dei numeri relativi agli ingressi nel nostro Paese: interi settori dell’economia italiana sono retti dal duro lavoro di queste persone (lavapiatti e rider per la ristorazione, caregiver per la cura degli anziani, muratori per l’edilizia…), spesso vittime di un razzismo subdolo e istituzionale intrinseco nella nostra organizzazione sociale.

Qualsiasi attributo che presumibilmente rende una persona non italiana (come se indossare il velo o avere la pelle più scura siano indicatori della propria nazionalità) la rende maggiormente esposta a controlli (che siano le Forze dell’ordine o il controllore sul treno), rifiuti nell’accesso al mercato del lavoro o al mercato immobiliare, pressioni in caso di commissione di errori (come è tristemente noto per l’ambito sportivo).

Perché non riusciamo a fare i conti con tutto ciò?**

* Il testo fu ideato e pubblicato dall'impiegato delle poste newyorchesi Victor Hugo Green dal 1936 al 1966, in un periodo contraddistinto dall’emanazione delle Leggi Jim Crow. Queste erano leggi locali e dei singoli Stati degli USA emanate tra il 1877 e il 1964 che servirono a creare e mantenere la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di "separati ma uguali" per i neri americani e per gli appartenenti a gruppi etnici diversi dai bianchi. La pubblicazione del Green Book cessò in seguito all’implementazione del Civil Rights Act (1964), che bandiva le discriminazioni razziali in virtù delle quali nacque la guida.

** Una risposta molto convincente l’hanno scritta Naomi Kelechi Di Meo e Abi Kobe Zar in un articolo di Vice, assolutamente da non perdere.

FONTI
Ambrosini, Sociologia delle migrazioni – terza edizione, Bologna, Il Mulino, 2020
Dati ISTAT sugli immigrati regolari residenti in Italia
Dati ISMU sugli immigrati irregolari
Dati AIRE sugli italiani emigrati

Foto di Unseen Stories, Unsplash

Scritto da

Alessandra Dondi

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