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A che cosa serve la ricerca sociologica? Un contributo per vivere "meglio"

di Michela Belcore21/11/22
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Tempo di lettura 3 minuti

La bustina del tè di oggi contiene qualche tentativo di riflessione analitica per espandere il proprio orizzonte sociologico.

Come la ricerca sociologica, qui intesa come, studio, analisi, comprensione, divulgazione e riorientamento del fenomeno, può aiutarci a vivere meglio.

La mission della rubrica Qualche bustina di tè vorrebbe essere incuriosire e ragionare a proposito di sociologia, tramite un approccio divulgativo per cercare di accrescere benessere e consapevolezza individuale e collettiva nel breve tempo di un tè o di un caffè.

L’intento è quello di riflettere su alcune dinamiche sociali (quali, ad esempio, i movimenti sociali, gli effetti del capitalismo, la crisi climatica, l’esperienza del lavoro, la crisi migratoria, ecc.) e sui loro effetti sugli individui come collettività, attraverso un approccio slow thinking proposto dal Premio Nobel per l’economia, Daniel Kahneman, veicolando cioè cultura in modo più lento, più deliberativo e forse anche più analitico (come farebbe chi gioca a scacchi), rispetto all'intuizione istantanea ed emozionale a cui ci hanno abituate/i i social network.

Proveremo anche ad analizzare insieme i fenomeni collettivi sempre più globali che caratterizzano la società moderna nel suo complesso, passando per alcune categorie interpretative quali i “fatti sociali” di Durkheim, “l’agire sociale” non privo di conseguenze collettive e i “tipi ideali” di Weber, avendo sempre in mente anche i principali paradigmi teorici.

La sociologia è nonostante tutto una disciplina “giovane”, le cui capacità interpretative vengono però implementate maggiormente nella moderna contemporaneità.

L’ottica multidisciplinare (o meglio transdisciplinare intesa come dialogo aperto al confronto con le altre scienze) è intrinseca alla sociologia fin dalla sua stessa nascita, in quanto si sviluppa a partire dagli interrogativi di alcune/i studiose/i appartenenti ad altre discipline, quali antropologia, economia, filosofia e psicologia, attraverso le quali non si sono trovate sufficienti risposte.

Alcune delle qualità sono: la dimensione propulsiva della curiosità, la capacità riflessiva (come la intende il sociologo Franco Ferrarotti nell'intervista sul suo libro: "Dalla società irretita al nuovo umanesimo") e spesso autoriflessiva e autocritica di chi la studia attraverso particolari lenti capaci di cogliere il s-oggetto di ricerca e il contesto in cui è immerso. 

Quindi potremmo dire che la sociologia derivi dal bisogno di comprendere le interconnessioni tra gli individui mantenendo controllo e ordine sociale in un mondo che oggi, ancora fatichiamo a spiegarci del tutto.  

Con la complicità tra sfrenato capitalismo di stampo neoliberale, crisi delle ideologie e avvento della cultura di massa si crea l’esigenza che l’uomo raggiunga e mantenga gradi di benessere sempre più elevati e insostenibili (per il pianeta) che hanno investito molteplici ambiti di vita. Questo non significa che l’avvento della “globalizzazione” stia rallentando il depauperamento della popolazione mondiale, anzi (ma di questo parleremo meglio in un altro contributo sui bisogni primari reali e/o indotti). 

La sociologia pur non essendo considerata una “scienza dura” (c.f.r. discipline S.T.E.M.) si avvale analogamente di un metodo scientifico, dell’osservazione dei fatti, della misurazione e raccolta dati, che devono essere interpretati in vista di una possibile formulazione teorica.

Questo dovrebbe, diversamente da come accade oggi (che non esiste un albo), garantire a studiose/i e ricercatrici/ori un maggiore spazio all’interno del dibattito pubblico con conseguente rilievo nell’opinione pubblica.

In conclusione penso che la sociologia non sia solo utile, ma utilizzabile in quanto strumento autonomo a cui affidarsi per decodificare la realtà sociale, individuando più che buone risposte, adeguate domande di ricerca.

Scritto da

Michela Belcore

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