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Un Brunch con... Daniela Di Veroli e Leonardo Zanchi - seconda parte

di Alessandra Dondi11/01/23
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Tempo di lettura 11 minuti

Benvenute e benvenuti in questa seconda parte del brunch dedicato al Giorno della Memoria.

Nella prima parte la Dottoressa Daniela Di Veroli, Coordinatrice del Memoriale della Shoah di Milano, ha approfondito la tematica della Memoria, ben evidenziando come sia importante coltivarla e contestualizzarla per non renderla solo pura retorica che annualmente, il 27 gennaio, ritorna. Per contrastare l'espansione di negazionismo e violenza, dobbiamo farci Testimoni del passato e combattere quell'indifferenza che ha permesso alla follia nazifascista di causare milioni di morti invano.

Oggi approfondiamo questi aspetti grazie alla Testimonianza di Leonardo Zanchi, nipote di un ex-deportato nei lager nazisti perché antifascista.

- Cos'è l'Associazione Nazionale ex-Deportati nei campi nazisti (ANED)?

L’ANED nasce nel 1945 per volere dei superstiti dei campi nazisti e per volere dei familiari di coloro che non hanno fatto ritorno.

L’Associazione nasce con intenti differenti: per i superstiti significava mantenere i legami tra di loro poiché nell’immediato dopoguerra soltanto chi aveva vissuto quell’esperienza riusciva a comprenderla appieno; quindi solo tra di loro si sentivano capiti e forse potevano dare sfogo a quello che avevano subito, mentre il resto del Paese non li ascoltava e metteva in dubbio quanto successo. Per i familiari delle vittime la nascita dell’Associazione permetteva loro di ottenere informazioni sull’accaduto. È da ammirare la forza incredibile delle donne nello svolgere questa ricerca: spesso erano orfane o vedove di uomini antifascisti deportati e mai ritornati, ma non cedettero al silenzio per scoprire la sorte dei loro cari.

La prima sezione ad essere fondata fu quella di Torino. Solo dopo la nascita di diverse sezioni venne riunita una rete associativa.

L’ANED ha sempre cercato di mantenere uniti i due volti della deportazione italiana: quella razziale degli ebrei e quella politica degli antifascisti, oppositori dei nazifascisti.

Ad oggi sappiamo che gli Ebrei italiani deportati (prevalentemente ad Auschwitz) furono oltre 8000, mentre i detenuti politici furono oltre 32000. Tra di essi vi erano scioperanti, dissidenti, antifascisti, operai deportati nella vastità del sistema concentrazionario: alcuni a Mauthausen, altri a Dachau, altri ancora a Buchenwald. Le donne antifasciste vennero deportate invece a Ravensbruck, unico campo femminile.

- Anche tuo Nonno fu vittima delle atrocità naziste. Qual è la Sua Storia?

Mio nonno si chiamava Bonifacio Ravasio e fu un deportato politico perché giovane antifascista.

È mancato nel 2016, ormai ottantanovenne, ma solo negli ultimi anni ha cercato di aprirsi un po’ di più su questo capitolo della sua vita, mentre prima non lo aveva praticamente mai fatto. Probabilmente con l’avanzare dell’età comprese che la vita sarebbe finita e doveva sfruttare gli anni rimasti per Testimoniare la sua esperienza. Inoltre vide, soprattutto negli ultimi anni, molti compagni che avevano vissuto esperienze analoghe morire e comprese dunque la necessità di parlare per dare voce anche a chi non ce l’aveva più; iniziò così ad andare nelle scuole e a prendere parte più attiva alle cerimonie cui aveva sempre presenziato.

Il Nonno nacque ad Alzano Lombardo (BG) in una famiglia che non aveva mai sopportato il regime fascista e fin da piccolo aveva quindi respirato in casa delle idee opposte rispetto a quelle della maggioranza del Paese. Soffrì molto tutta l’educazione scolastica, all’epoca già fascistizzata: raccontava con molto fastidio l’obbligo di indossare la divisa scolastica fascista, fare il saluto romano, scrivere “viva il Duce” in fondo ai temi…

Questa grande insofferenza verso il regime veniva dal Padre e dal Nonno, entrambi socialisti.

Da giovanissimo iniziò a lavorare per la Stipel (oggi sarebbe la Telecom): distribuiva gli elenchi telefonici porta a porta e dentro vi metteva i volantini contro Mussolini. Cercava quindi di far arrivare nelle case degli italiani la stampa clandestina, la maggioranza delle famiglie che riceveva questi elenchi era fascista, venne segnalato all’azienda.

Ad aggravare la sua posizione fu però un altro episodio: suo Nonno era particolarmente bersagliato ad Alzano Lombardo; in un paese piccolo, chi non era perfettamente in linea con le idee del regime veniva facilmente individuato e spesso era convocato dai fascisti locali che lo picchiavano.

Mio Nonno, vedendo suo Nonno tornare a casa martoriato, decise un giorno di seguirlo e difenderlo dalle botte dei fascisti, aggredendone uno e compromettendo definitivamente la sua posizione.

Iniziò allora una fuga su consiglio dei genitori: arrivò a Tarcento (vicino a Udine) dove abitavano dei parenti che lo tennero nascosto. Sappiamo che riuscì a raggiungerli perché il documento di arresto da parte dei nazisti riporta come luogo proprio quello.

Una volta arrivato tentò di entrare nell’organizzazione tedesca Todt sperando di nascondersi, ma i nazisti vennero a sapere che i fascisti bergamaschi lo stavano già cercando.

Fu quindi arrestato il 10 luglio 1944 a soli 17 anni, portato nelle carceri di Udine e deportato il 31 luglio su un convoglio che partì da Trieste, fermò a Udine dove il Nonno salì con alcuni compagni e si diresse a Buchenwald. Arrivò il 3 agosto 1944 e vi rimase fino al 5 settembre, quando venne trasferito in un sottocampo di Buchenwald. Il Nonno, ridotto a “stuck”, fu mandato nel sottocampo di Hadmersleben e numerato come tutti gli altri deportati: lui era la matricola 33843 caratterizzato dal triangolo rosso dei deportati politici e la “I” di italiano nel mezzo del triangolo. Fu costretto a lavorare in miniera dove i nazisti avevano sistemato la produzione bellica, qui si occupava della creazione di pezzi per le ali dei Messerschmitt (gli aerei della Luftwaffe) insieme a tutti i deportati. L’idea dei nazisti era infatti sfruttare, tramite il lavoro forzato, al fine della produzione bellica, le persone a loro sgradite prima di eliminarle.

Il Nonno resistette fino all’aprile del 1945 (permase sempre a Hadmersleben), quando Buchenwald fu liberato dagli americani. Tuttavia nei giorni precedenti era stato impartito l’ordine di evacuare i lager, poiché gli americani avrebbero dovuto trovare le strutture vuote. Presero avvio le cosiddette “marce della morte”: furono molteplici e la stessa Senatrice Segre ne affrontò una. La marcia iniziò probabilmente il 10 aprile ma lui venne liberato solo l’8 maggio; subì quindi quasi un mese di marcia che a un certo punto divenne navigazione, in quanto vennero caricati su dei barconi per attraversare il fiume Elba. ipotizziamo volessero portare i detenuti al ghetto di Terezin ma non vi arrivarono perché la navigazione venne interrotta da un contingente dell’esercito russo a Lovosice (oggi un paesino della Repubblica Ceca a circa 70 chilometri da Praga): prima i russi tentarono di affondarli pensando fosse un carico di rinforzi per l’esercito tedesco, ma vedendo i corpi scheletrici dei deportati, tentarono di salvarne alcuni, tra cui mio Nonno. Fu salvato da un soldato russo (un ragazzo forse poco più grande di lui) che si tuffò nell’Elba, se lo caricò sulle spalle (forse perché il più vicino da afferrare) e lo portò a riva, salvandogli la vita; mentre stava nuotando venne però colpito da un proiettile dei tedeschi che gli provocò la morte entro pochi giorni. Poco prima che morisse gli chiese il nome ma tutto quello che riuscì a capire fu “Sasha”, o forse “Shaska”, che in russo vuol dire Alessandro. Si trattava però di un’informazione troppo vaga per poter rintracciare la famiglia, ma il Nonno ci provò comunque. Il nonno ebbe dunque sulla coscienza non solo quello che aveva visto, (il trauma del superstite) ma anche questo soldato che, senza conoscerlo, lo salvò. Non ha più dimenticato quel soldato.

Ritornò in Italia quando era ormai diciottenne e aveva ancora tutta una vita davanti; questo forse gli permise di riscattare quell’esistenza che i nazisti tentarono di sottrargli.

Carta personale del prigioniero compilata a Buchenwald all'arrivo (3 agosto 1944)

- Cosa significa per te Memoria?

Per me Memoria è guardarsi dentro e riscoprire le proprie radici riflettendo su se stessi. Potremmo definirla come un flusso di vita. Nel mio caso assume una connotazione molto affettiva: ho sentito il dovere di raccogliere la vicenda di mio Nonno in qualche modo, soprattutto da quando è mancato; ho infatti avuto la sensazione che perdendo il Testimone diretto si perdesse anche tutta la sua esperienza. Ho cercato dunque di rendere la Memoria personale una Memoria collettiva. Se tutti i familiari conservano nella dimensione privata la Memoria dei propri cari, questa rimane lì bloccata senza poter diventare collettiva. Eppure il Ricordo è una continua rielaborazione che ha a che fare soprattutto con il presente e con il futuro, non solo col passato. Questa consapevolezza mi ha permesso di modificare la mia percezione riguardo alle attuali discriminazioni, poiché è anche attraverso la Memoria che possiamo diventare buoni cittadini. Questa continua riformulazione della Memoria ci permette di rimanere vigili di fronte ad ogni sorta di revisionismo o comportamento discriminatorio.

La legittimazione a raccontare la vicenda di mio Nonno deriva dalla scrittura di un breve articolo per il giornalino del liceo sulla sua storia. Quando glielo portai mi disse: “c’è qualche cosa ma bisognerebbe raccontare molto di più. Mancano molti aspetti”. Da allora iniziammo a riordinare i pezzi della sua vita e io iniziai a seguirlo nelle scuole per raccontare quanto accaduto. Siccome alcune volte si commuoveva, chiedeva a me di proseguire il discorso; in questi momenti c’è stato una sorta di passaggio del Testimone.

Il Signor Bonifacio riceve la Medaglia d'Onore voluta dalla Presidenza della Repubblica (2010)

- Come nasce il progetto ANEDdoti?

ANEDdoti prende il nome da ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati) ed è un progetto nato durante la pandemia. Io ed Andrea Giovarruscio, nel 2019, avevamo svolto l’anno di servizio civile presso la Casa della Memoria e, verso la fine di quell’esperienza, ci è venuto in mente di iniziare questo percorso. L’arrivo della pandemia ha scombussolato la situazione, portandoci a rivedere la nostra idea; abbiamo dunque deciso di creare un podcast che poteva essere fruibile in qualsiasi momento della giornata e che, soprattutto, non prevedesse l’incontro con altre persone, favorendo così il distanziamento sociale necessario a rallentare la pandemia. Ad oggi, questi episodi si trovano sulle principali piattaforme di streaming (es. Spotify) e ciascuno può andare ad ascoltarli quando preferisce. L’idea iniziale è stata quella di dar voce a tutti quei deportati che non hanno fatto ritorno dai campi di sterminio; grazie alla determinazione dei loro cari (ricerche e interviste con altri deportati), che sono riusciti ad acquisire maggiori informazioni su di loro, oggi possiamo conoscere le loro storie. Infatti tante volte i familiari diventano loro stessi dei testimoni e conservano nelle loro case tutta una serie di documenti che noi abbiamo potuto consultare. Negli episodi di ANEDdoti si raccontano sia le vicende della singola persona deportata che delle circostanze in cui sono avvenute: è infatti necessario andare a contestualizzare le vicende, spiegando cosa hanno comportato, per esempio, l’emanazione delle Leggi fascistissime o l’Armistizio dell’8 settembre per la popolazione italiana.

ANEDdoti quest’anno ha subito un’evoluzione in occasione del Giorno della Memoria: grazie all’aiuto del Comune di Bergamo è stato possibile legare questo progetto alle Pietre di Inciampo. In questo modo, chiunque incontri una Pietra di Inciampo può leggere il nome inciso sopra ed ascoltare un episodio del podcast che faccia riferimento alla persona a cui è stata dedicata la Pietra.

- Considerando i negazionisti e la rappresentanza politica di un'estrema destra ambigua, in che cosa abbiamo sbagliato?

Ci sono delle cose che reputo completamente irrazionali: negare la Shoah è disarmante, va oltre ragione. Sembra che ogni volta che ci sia una difficoltà collettiva (come può essere una pandemia o un genocidio), l’uomo abbia bisogno di affidarsi alle teorie del complotto. Lo spiegava bene Umberto Eco: quando l’uomo non riesce a guardare in faccia la realtà per quella che è, si affida ai complottismi. È chiaramente una risposta irrazionale che l’uomo si dà. Credo però che fare finta che questi negazionismi non esistano sia un errore: bisogna confrontarsi. Io vorrei davvero parlare con loro, sia con chi nega le deportazioni nazi fasciste, sia con chi nega la pandemia e soprattutto con chi rimpiange determinati periodi, perché siamo in una stagione in cui questi nostalgici (del fascismo e persino neonazisti) si moltiplicano. Cosa rimpiangiamo di quel periodo? Cosa si può rimpiangere di un’epoca simile? Oggi purtroppo assistiamo a chi strizza l’occhio a queste frange estreme per interessi politici. Pur di accaparrarsi qualche voto la destra nel nostro Pese non esita a tendere la mano a questi negazionisti, tanto della Shoah (che è passato), quanto del covid. Si tratta di mancanza di consapevolezza: quando la rielaborazione del proprio passato è scomoda, ecco che subentrano altri meccanismi spesso nocivi, come appunto negare quello che è stato ma anche una situazione che è davanti ai nostri occhi – perché siamo ancora in piena pandemia.

Cosa abbiamo sbagliato? L’errore in molti casi sta proprio nel rifiutarci di fare i conti con il passato e questo genera quei meccanismi irrazionali. Io non chiuderei però la porta: il confronto va fatto anche con queste persone; rimarranno della loro idea ma dobbiamo tentare di instillare il dubbio, magari qualche idea si riesce a cambiare.

- Il 2021 è stato l'anno più antisemita dell'ultimo decennio e anche l'Italia continua a macchiarsi di peccati del genere (Livorno, Roma, Pisa, Sirmione, Milano quelli passati alla cronaca). A 100 anni dalla marcia su Roma - l'inizio della fine - come vanno interpretati questi dati?

Sicuramente l’episodio di Livorno è stato orribile e diventa assolutamente necessario domandarsi cosa abbia portato due ragazze ad aggredire verbalmente e fisicamente un coetaneo, la cui unica caratteristica era quella di essere ebreo.

Sebbene non si tratti di un episodio di antisemitismo, è altrettanto grave la repressione dei giovani manifestanti contro l’alternanza scuola-lavoro avvenuta recentemente a Torino. Lo Stato ha risposto con la violenza ma questo è inaccettabile e ci riporta a quei tempi bui. Credo siano episodi da non sottovalutare: non si può rispondere ai giovani che manifestano per solidarietà a un compagno morto tramite le manganellate della polizia.

- Ci sono responsabilità politiche (o culturali) nella banalizzazione del male?

Quando parliamo di Memoria parliamo implicitamente anche di oblio, poiché sono due facce della stessa medaglia. Come la Memoria, anche l’oblio è responsabilità di ciascuno di noi.

La Memoria delle deportazioni ha sicuramente avuto dei risvolti positivi perché ci ha permesso di fare i conti con la nostra responsabilità rispetto a quanto accaduto. Non possiamo scordarci che le deportazioni partirono anche dall’Italia (Binario 21 a Milano e Binario 1 a Bergamo sono solo due esempi), contribuendo al genocidio nazifascista di milioni di persone. Le Pietre di Inciampo sono un modo per non dimenticarcelo e “far ritornare le persone a casa”. Ci ricordano che chi è stato perseguitato era uno di noi, con la propria vita e i propri sogni.

Se il male venisse meno banalizzato e preso invece più seriamente, ci permetterebbe di interrogare noi stessi; in questo modo annulleremmo la banalizzazione del male e, sotto certi aspetti, anche la ritualità che ha preso il Giorno della Memoria. Se manteniamo la Memoria dentro la Storia, il giorno della Memoria diventerebbe più costruttivo e meno retorico.

I continui episodi di un antisemitismo pervasivo e il dilagante negazionismo sono segnali allarmanti di una crescente indifferenza verso un passato recente con cui non abbiamo ancora fatto i conti, e il debito aumenta ogni anno purtroppo. A fine 2022 esponenti del nuovo Governo Meloni (compreso il Presidente del Senato) hanno pubblicamente celebrato l'anniversario della nascita del Movimento Sociale Italiano, la cui fiamma è riportata anche nel simbolo del partito del(la) Premier.
Essendo però stati eletti come cariche dello Stato, hanno preventivamente annunciato di partecipare alle celebrazioni del 25 aprile, nonostante l'abbiano sempre denigrata come "festa di sinistra" e "divisiva".

Eppure chi inneggia oggi alla dittatura è libero di farlo perché siamo una Democrazia e se siamo Liberi, è grazie a persone come Bonifacio che non si sono piegati a un regime autoritario, pagando troppo spesso con la vita.

Negare il nostro passato significa negare noi stessi, negare le vite dei nostri nonni o dei nostri genitori. Significa aver sacrificato la vita di migliaia di persone invano, vittime di una guerra senza senso che ci ha portati ad essere nemici tra italiani.

Prendere la strada più semplice non è mai la scelta migliore: ignorare il passato è meno faticoso che informarsi e studiare la storia; questo rischia però di ricreare nuovamente una situazione di repressione delle nostre Libertà, tutto quello che chi parla oggi di dittatura vorrebbe evitare...

Allora studiate, informatevi, diffidate da chi vuole avere l'ultima parola: sono quelli che vogliono la (propria) Libertà a scapito dei Diritti altrui, sono quelli che scelgono la strada dell'indifferenza e dell'inconsapevolezza, che negano la loro Storia, la nostra Storia, perché troppo difficile da rielaborare.

Cari lettori, fatevi portatori di Memoria e Conoscenza.

Grazie Bonifacio per la Sua tenacia e per averci reso Liberi.
Grazie Leonardo per l'importante Testimonianza di tuo Nonno.
Grazie Andrea e Francesco per l'indispensabile aiuto nella stesura del testo.

Illustrazione di Ricardo Ventura

Scritto da

Alessandra Dondi

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